giovedì 30 aprile 2009

Lavorare bene sotto pressione

Molta gente lavora meglio quando ha scadenze molto strette da rispettare, ma un nuovo studio, pubblicato nell' International Journal of Innovation and Learning, suggerisce che e' un errore pensare che un team di lavoro possa lavorare costantemente sotto pressione e rimanere allo stesso tempo focalizzato sul lavoro e lavorare con efficienza.
Ari Putkonen, esperto di progettazione del dipartimento di Ingegneria Industriale e Management dell'Univerista' di Oulu, in Finlandia, spiega che gli approcci convenzionali alla progettazione del lavoro possono fallire perche' non tengono in sufficiente considerazione i cambiamenti dell'efficienza ed innovazione dei membri che compongono i singoli team di lavoro durante lo svolgimento del compito affidatogli.
Putkonen ha simulato e predetto degli effetti dinamici del carico di lavoro causati dalla pressione sul gruppo di lavoro. Considerando la gestione del progetto, l'ergonomia del lavoro e studi precedenti in merito alla salute delle persone in attivita' lavorativa, elementi costituenti la struttura di base del suo studio, egli ha scoperto che la pressione lavorativa ed il carico di lavoro incidono pesantemente sia sulla performance generale, sia sulla qualita' del lavoro, sia sull'innovativita' del gruppo di lavoro. Allunga, inoltre, il tempo impiegato per svolgere l'intero progetto.
Putkonen, in primo luogo, spiega che il carico di lavoro mentale, la pressione e le scadenze impellenti possono avere effetti positivi sulla produttivita'. Nella frase ''lavoro meglio sotto pressione'' e' racchiusa una saggezza convenzionale, specie per quegli individui creativi e membri di team di progettazione e relative aree dove spesso per raggiungere il successo, il fattore critico e' proprio il tempo. Comunque i benefici hanno solo un impatto positivo nel breve termine, come gli studi di Putkonen dimostrano.
Egli ha dimostrato che ci sono dei potenziali effetti negativi nel lungo periodo perche' la pressione spesso determina una maggiore fatica mentale la quale provoca danni alla qualita' e produttivita' del lavoro. In aggiunta, la fatica mentale provoca una minore concentrazione sul lavoro e questo riduce l'innovativita' del gruppo di lavoro.
Il fallimento nel riconoscere questi effetti (l'esplosione iniziale dell'efficienza e il latente avanzamento della fatica mentale) porta ad errate previsioni e valutazioni in merito ai bisogni di risorse umane. Effetti simili possono riguardare anche i manager e i team leader in quanto potrebbero essere spinti a fare valutazioni e previsioni super-ottimistiche per quanto riguarda il tempo di realizzazione del lavoro e questo potrebbe ridurre il morale del team quando queste scadenze non vengono rispettate.
Putkonen suggerisce che i gruppi di lavoro hanno bisogno di un management che sia in grado di bilanciare le richieste lavorative derivanti dal compito e le risorse che ogni individuo impiega per farvi fronte.
''La simulazione dinamica di modelli di sviluppo, in questo studio, simula progetti per lo studio sia del benessere dei lavoratori sia per i punti di vista dei manager'' spiega. ''Le previsioni ottenute sulla durata dei progetti di lavoro sono molto piu' realistiche di quelle ottenute con gli approcci e metodi convenzionali di progettazione del lavoro. Questo risulta importante soprattutto per il management in quanto consente di comprendere gli effetti della pressione lavorativa durante il corso di un esigente e lungo progetto di lavoro.'' conclude.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/147561.php

venerdì 24 aprile 2009

Se vivi all'estero hai piu' creativita'

Vivere in un'altra nazione puo' costare caro, ma una nuova ricerca suggerisce che puo' essere molto utile per espandere la nostra mente. Questa ricerca, pubblicata dall' American Psychological Association, e' la prima che cerca una correlazione significativa tra la creativita' e le esperienze di vita all'estero.
''Per gli artisti, il contatto con le altre culture ed, in generale, le esperienze di vita in altri Stati, sono indispensabili per stimolare la loro immaginazione o per perfezionare le loro doti. La domanda quindi e': vivere all'estero fa diventare piu' creativi?".
Il dott. William Maddux, assistente professore di comportamento organizzativo all' INSEAD, con campus in Francia e Singapore ha cercato di rispondere al quesito.
''E' una domanda che ci poniamo da lungo tempo e ci sentiamo di essere in grado ci cominciare a darvi una risposta attraverso la ricerca''.
Maddux e Adam Galinsky, professore alla Kellogg Shool of Management della Norhwestern University, hanno organizzato un esperimento che da' l'idea che le esperienze all'estero siano correlate alla creativita'. La prova cruciale ha visto coinvolti 5 studenti. Lo studio apparira' sul numero di Maggio del Journal of Personality and Social Psychology, pubblicato dall'American Psychological Association.
In un esperimento, gli studenti del master di Business Administration dovevano risolvere il problema delle candele descritto da Karl Duncker, un test classico per testare l'istinto creativo. In questo problema, agli individui vengono presentati tre oggetti (una candela, un pacco di fiammiferi ed un pacco di puntine da disegno) posti su un tavolo, vicino ad una parete di cartone. Il compito consiste nell'attaccare la candela al muro in modo tale che, dopo l'accensione, essa bruci in modo adeguato, senza che le gocce cadino a terra o sul tavolo. Per la soluzione corretta e' necessario utilizzare la scatola delle puntine come un portacandela (si dovrebbe svuotare la scatola, fissarla al muro di cartone con una puntina e porvi dentro la candela).
La soluzione e' considerata una misura di intelligenza creativa perche' e' necessaria una certa abilita' nel vedere gli oggetti presentati con una funzione differente rispetto a quella che comunemente conosciamo (la scatola non e' solo un contenitore di fiammiferi o puntine, ma si puo' trasformare in supporto per la candela). I risultati dimostrano che gli studenti che hanno vissuto all'estero sono piu' abili nel trovare la soluzione creativa corretta.
In un'altro esperimento, che ha coinvolto studenti diversi rispetto ai primi, ma sempre appartenenti alla stessa scuola, i recercatori hanno usato un test differente che riguardava una vendita simulata di gas. In questa trattativa, l'accordo basato solamente sul prezzo di vendita era impossibile da raggiungere perche' il prezzo minimo imposto dal venditore era piu' alto del prezzo massimo che il compratore era disposto a pagare. In ogni caso, siccome le due parti mostravano interesse reciproco a concludere l'affare, l'accordo si sarebbe dovuto raggiungere solo attraverso una soluzione alternativa (creativa) che avrebbe soddisfatto entrambe le parti.
Ancora una volta, i negoziatori con esperienze di vita all'estero erano piu' propensi a raggiungere l'accordo con la controparte utilizzando idee creative ed originali. In entrambi gli studi, quello che ha fatto la differenza non e' stato il tempo speso per viaggi all'estero, ma proprio le esperienze di vita. Queste esperienze sono maggiormente correlate alla creativita'.
Maddux e Galinsky hanno continuato i loro studi per capire perche' queste esperienze di vita incidono cosi' tanto sulla creativita' delle persone. Con un gruppo di studenti dell'MBA dell'INSEAD in Francia hanno scoperto che molti studenti si erano adattati alla cultura straniera del Paese in cui vivevano, e risolvevano, quindi, piu' facilmente il test delle candele di Duncker.
''Questo studio dimostra che esiste qualche sorta di trasformazione psicologica, che determina l'ampliamento della creativita', quando la gente vive in un Paese diverso dal proprio. Questo puo' accadere quando le persone si impegnano attivamente per adattarsi alla nuova cultura'', dice Galinsky.
Sebbene questi studi dimostrano un forte legame tra la creativita' e l'estero, non provano che l'adattamento ad un'altra cultura, a seguito di esperienze di vita, effettivamente determini questa maggiore capacita'.
''Non potremmo assegnare, in modo casuale, alcune persone a vivere all'estero ed altre a vivere nel proprio Paese, per testare l'effetto delle esperienze di vita fuori dal proprio contesto'', dice Maddux.
Quindi per comprendere meglio questa correlazione e per darsi delle risposte certe, i due autori hanno utilizzato una tecnica chiamata ''priming''. In due esperimenti, hanno chiesto ad un gruppo di studenti laureati alla Sorbona di Parigi di ricordare e descrivere un'esperienza che avevano avuto durante il soggiorno oppure di ricordare un sforzo che avevano fatto per adattarsi alla cultura francese; ad un altro gruppo, invece, hanno chiesto di descrivere altri tipi di eseprienze come la spesa al supermercato, l'apprendimento di un nuovo sport o semplicemente l'osservazione, ma non l'adattamento, della nuova cultura.
I risultati ottenuti dimostrano che, per rievocare mentalmente le loro esperienze di vita passate o rievocare delle esperienze fatte (e sforzi) nel tentativo di adattarsi alla nuova cultura, almeno temporaneamente, questi studenti erano piu' creativi. Per esempio, disegnavano lo spazio popolato da alieni e/o risolvevano i giochi di parole molto piu' creativamente rispetto agli studenti che avevano rievocato esperienze di vita diverse.
''Questa ricerca puo' dirci qualcosa circa il crescente impatto della globalizzazione sul mondo, un fatto che ha avuto forti ripercussioni durante questo periodo di crisi'', dice Maddux. ''Sapendo che le esperienze di vita all'estero sono critiche per gli output creativi di ogniuno di noi, seguire programmi di studio all'estero o lavorare in altri Stati, e' molto importante, specialmente per le persone, ma anche per le societa' che distribuiscono premi sulla creativita' e sull'innovazione per rimanere competitive''.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/147490.php

martedì 21 aprile 2009

Suicidio: fattori di rischio

Sono molti i fattori che possono incrementare il rischio di suicidio. Annoveriamo tra questi, il sesso maschile, alcolismo, disordini psicologici precedenti, episodi regressi di autolesionismo, l'educazione ed il fumo. Riferendoci alle professioni piu' a rischio, mensioniamo i dottori (specialmente di sesso femminile), veterinari, infermieri, dentisti e gli agricoltori soprattutto perche' queste categorie di persone hanno un piu' facile acceso alle sostenze velenose o letali che possono essere usate per suicidarsi.
Questa ricerca e' stata illustrata in un seminario tenuto dal Professor Keith Hawton del Centre for Suicide Research dell'Univerista' di Oxford (GB) e dal Professor Kees van Heeringen dell'Unit for Suicide Research, dell'University Hospital, Gent, del Belgio ed e' stata pubblicata sull'edizione di questa settimana del The Lancet.
E' stato stimato che l'ammontare dei suicidi e' di un milione all'anno, la media di un suicidio ogni 40 secondi, ma ci sono buone ragioni per credere che in molti Paesi ci sia una sottostima dei dati e quindi questo significherebbe che il numero di suicidi potrebbe essere piu' elevato. Secondo la classifica delle cause di decesso, il suicidio occupa la decima posizione e caratterizza l'1,5% delle morti a livello mondiale. Nei Paesi del Nord Europa si registra un tasso piu' alto rispetto ai Paesi del Sud. In Giappone, invece, l'effetto della latitudine come fattore di rischio ci suggerisce che i suicidi sono legati alle poche ore giornaliere di sole. Paesi che si trovano alla stessa latitudine, pero', come il Regno Unito e l'Ungheria, fanno registrare sostanziali differenze del tasso dei suicidi. Sono i Paesi costituenti l'ex Unione Sovietica che destano maggiore preoccupazione, infatti, il numero dei suicidi e' molto piu' alto che altrove. In Cina sono stati commessi piu' del 30% dei suicidi che costituiscono il 3,6% delle cause di morte. Nei Paesi sviluppati il rapporto tra uomini e donne che si suicidano e' di 2-4 a 1 e questa tendenza sembra sia in aumento. I Paesi asiatici mostrano un rapporto piu' basso, ma anche questa tendenza potrebbe aumentare, sebbene in Cina si suicidano piu' donne che uomini.
Il tasso di suicidio e' piu' alto tra le persone anziane, ma negli scorsi 50 anni la tendenza nei giovani ha subito un incremento, particolarmente negli uomini. Il picchi maggiori si hanno durante la primavera e riguardano soprattutto il genere maschile. Gli individui nati in primavera o nella tarda estate, invece, sono piu' a rischio e questo riguarda in modo particolare le donne. Gli americani con origine europea hanno un piu' alto tasso di suicidio rispetto agli ispanici o agli afroamericani; si suppone che questa differenza sia in via di ristringimento a causa all'aumento dei suicidi delle persone di colore di giovane eta'. Le popolazioni indigene, come per es. gli aborigeni in Australia e gli americani, hanno un tasso di suicidi piu' alto, probabilmente a causa dell'emarginazione sociale e culturale ed anche a causa dell'abuso di alcool.
Non sorprende se il tasso dei suicidi dei disoccupati sia piu' alto rispetto agli occupati. In parte questi alti tassi sono associati a malattie mentali, le quali, a loro volta, sono legate alla disoccupazione. Tra le persone occupate, invece, alcune categorie lavorative presentano un rischio maggiore in molti Paesi. Tra i dottori, sono le donne piu' generalmente a rischio. Un alto rischio caratterizza anche gli infermieri. In entrambe queste due categorie professionali, il facile accesso ai farmaci e' un importante fattore di rischio. Se ci soffermiamo sul personale medico, gli anestesisti sono particolarmente a rischio perche' utilizzano ed hanno accesso a molti farmaci per la sedazione che sono usati frequentemente per suicidarsi. Altri gurppi professionali, infine, hanno, altresì, un facile accesso a questi prodotti. (Es. dentisti, farmacisti, veterinari ed agricoltori)
In generale, gli uomini tendono a scegliere una via molto piu' violenta per suicidarsi, (impiccagione o utilizzo di arma da fuoco) rispetto alle donne che propendono per l'avelenamento o per metodi meno cruenti. Differenti popolazioni utilizzano differenti metodi per togliersi la vita (le donne delle popolazioni dell'Asia del Sud, si danno fuoco per suicidarsi). L'accesso ad uno specifico metodo potrebbe essere un fattore fondamentale che favorirebbe l'aspirante suicida a passare dal pensiero all'azione. Negli USA, la maggior parte dei suicidi vengono commessi con armi da fuoco, e questo rischio e' massimo specialmente quando le armi vengono custodite in casa. Nelle aree rurali di molti Paesi in via di sviluppo, l'ingestione di pesticidi e' il metodo piu' frequente per togliersi la vita perche' il pesticida e' di facile reperibilita' ed ha alta tossicita' ed, in generale, piu' del 30% dei suicidi e' commesso in questo modo.
I problemi di salute mentale sono i maggiori fattori che determinano comportamenti autolesionistici. Si suppone che circa il 90% delle persone che si toglie la vita abbia problemi psichici. La depressione incrementa il rischio di suicidio dalle 15 alle 20 volte e circa il 4% delle persone depresse si suicida. Gli indicatori critici che predicono questo tipo di comportamento sono spesso legati a precedenti atti autolesionistici, disperazione e tendenze suicide. Circa il 10-15% dei pazienti affetti da disturbo pipolare dell'umore muore suicida, specialmente quando questa patologia e' agli esordi. Anche il 5% dei pazienti affetti da schizofrenia muore suicida. Inoltre, abuso di alcool, anoressia nervosa, disturbi dell'attenzione, iperattivita', disarmonia nello sviluppo corporeo aumentano il rischio di suicidio delle persone affette da queste patologie e distrubi. Si suppone che, specialmente le disarmonie nello sviluppo corporeo sono particolarmente esplicative di questo fenomeno ed il rischio affligge soprattutto le donne che hanno subito un intervento di mastoplastica additiva.
Un ruolo chiave e' giocato anche dalla salute fisica, ma con qualche strana sorpresa. Sorprendentemente, infatti, le persone con un maggiore indice di massa corporea sebbene siano a maggior rischio depressione, sono meno esposti al rischio suicidio (il rischio diminuisce del 15% per ogni 5kg/2 punti nell'indice massa corporea.) Le ragioni di questo fenomeno sono ancora sconosciute. Il cancro, particolarmente alla testa o al collo, HIV/AIDS, sclerosi multipla, epilessia ed una vasta gamma di altre malattie sono altresi' legate ad un maggior rischio di suicidio.
Gli altri fattori che possono incrementare questo rischo includono l'abuso fisico e sessuale subito durate l'infanzia, traumi subiti da ampie fette di popolazione generale, come i disastri naturali, e la morte delle celebrita'. Il rischio di suicidio, infatti, aumento' del 17% dopo la morte della Principessa Diana nel 1997, e caratterizzo' soprattutto le donne della sua stessa coorte d'eta. La guerra, invece, determina una diminuzione del rischio di suicidio, forse a causa della coesione sociale che si crea nella comunita'. I famigliari colpiti da lutto di una persona cara che si e' suicidata, a loro volta, rischiano di perire suicidi.
''Prove sostanziali indicano che certi tipi di media con certi modi di riportare e descrivere i suicidi e le relative dinamiche, condizionano i comportamenti suicidi o autolesionisti della popolazione generale'', aggiungono gli autori della ricerca.
Le autopsie degli individui che si sono tolti la vita, ci mostrano modificazioni delle funzioni di neurotrasmissione del sistema nervoso centrale (SNC). Si riscontra spesso, per esempio, l'alterazione del sistema della serotonina (il neurotrasmettitore dell'''umore''). La bassa concentrazione del colesterolo e' associata all'incremento del rischio di suicidio, ma il rischio e' piu' alto quando il basso livello di colesterolo e' determinato dalla dieta piuttosto che dall'utilizzo di statine. Gli autori hanno raggiunto questa conclusione perche' le persone a dieta hanno un rischio maggiore di essere affette da problemi di salute mentale, anche se vi sono solo piccole prove a supporto di questa tesi. Inoltre, se nella storia famigliare vi sono stati suicidi, questo significa un sostenziale raddoppiamento del rischio per le generazioni future, sia di sesso maschile e sia di sesso femminile. Il suicidio di individui con fratelli o sorelle gemelli e' piu' frequente per i gemelli identici rispetto a quelli non identici. Sebbene ci siano poche prove, anche l'alto livello di aggressivita' durante il corso della vita e l'impulsivita' spingono al gesto estemo. Il tasso di suicidi e' aumentato presso gli adolescenti, specialmente di sesso maschile, e le tendenze suicide sarebbero ''trasmissibili'', specialmente dalla parte della madre.
''E' difficile fare prevenzione a causa dell'alto numero di fattori implicati, ma alcune strategie possono permetterci di identificare alcuni gruppi ad alto rischio e cercare di ridurre la tendenza, oppure potremmo cercare di ridurre il rischio in realzione alla popolazione nella sua totalita'. Ogni persona depressa dovrebbe essere sottoposta ad esami diagnostici al fine di valutare il pericolo, oppure indagando direttamente attraverso un colloquio teso a valutare la presenza di piani e pensieri suicidi.''
''In caso di alto od imminente rischio di suicidio, e' necessaria un'azione immediata, inclusa la vigilanza e la supervisione del paziente, anche attraverso l'ospedalizzazione, per eliminare o rimuovere i potenziali mezzi di suicidio ed iniziare un vigoroso trattamento per i disordini psichici associati'' affermano gli autori.
Essi hanno anche discusso una recente ricerca, condotta con la meta-analisi utilizzando un campione casuale, la quale mostra che i suicidi a causa dei disturbi dell'umore sono scesi del 60% grazie all'assunzione di litio.
La rimozione dei potenziali stumenti per darsi la morte e' fondamentale soprattutto per quegli individui che ne hanno un piu' libero accesso e questo potrebbe avere un effetto notevole sulla prevenzione dei suicidi della popolazione generale.
''Un esempio sorprendente del significato della disponibilita' del potenziale mezzo per togliersi la vita e' quello che proviene dal Regno Unito quando, agli inizi degli anni '60, le forniture di gas tossico furono sostituite da quelle con gas non tossico proveniente dal Mare del Nord. Ci fu un'ampia riduzione di suicidi che venivano commessi proprio utilizzando il gas come mezzo letale. L'introduzione di barriere di sicurezza sui ponti e l'incremento del controllo puo' diminuire il rischio di suicidi come, anche, conservare i pesticidi e altri veleni in luoghi piu' sicuri, nelle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo. Specifici programmi scolastici potebbero migliorare il benessere degli adolescenti ed un piu' stringente controllo dei media che riportano e ricostruiscono comportamenti suicidi potrebbe avere un effetto preventivo maggiore.''
''Le ricerche future devono concentrarsi sullo sviluppo e analisi empirica basata su protocolli di prevenzione e trattamento. La sfida della prevenzione dei suicidi nei Paesi in via di sviluppo richiede particolare attenzione, infatti, sebbene la maggior parte delle ricerche sull'argomento provengono dai Paesi sviluppati, il maggior numero dei suicidi e' commesso nei Paesi in via di sviluppo.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/146507.php

domenica 19 aprile 2009

Il potere dell'immaginazione

Immaginate di superare un esame o di raggiungere un obiettivo importante nella vita. Sarebbe difficile credere di poter chiudere gli occhi e vedere realizzati i nostri sogni, eppure in uno studio pubblicato dalla rivista Psychological Science, il giornale dell'omonima organizzazione, gli psicologi Christopher Davoli e Richard Abrams della Washigton University suggeriscono che l'immaginazione puo' essere piu' efficace di quello che pensiamo nell'aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi.
Un gruppo di studenti aveva il compito di ricercare delle specifiche lettere presentate insieme a dei distrattori (le lettere da cercare erano sparpagliate in mezzo ad altre) ed identificarle nel minor tempo possibile. Nel momento dell'identificazione avrebbero dovuto premere un pulsante. Mentre erano occupati in questo compito, avrebbero dovuto immaginare sia di tenere tra le mani lo schermo del pc e sia di avere le braccia dietro la schiena (i ragazzi ovviamente non dovevano effettivamente assumere queste posizioni, ma solo di immaginarsi in queste posizioni).
I risultati hanno dimostrato che immaginando semplicemente una postura si possono osservare degli effetti molto simili all'effettiva assunzione della postura immaginata. I partecipanti, infatti, hanno impiegato piu' tempo nella ricerca delle lettere quando immaginavano di tenere il monitor tra le mani, rispetto a quando immaginavano di avere le mani dietro la schiena. I ricercatori suggeriscono che il maggior tempo fatto registrare durante il compito di ricerca visiva e' dovuto ad una piu' minuziosa analisi degli oggetti piu' vicini alle proprie mani. Infatti, una ricerca precedente aveva dimostrato che avremmo la tendenza a fare piu' attenzione agli oggetti che si trovano piu' vicino alle nostre mani (gli oggetti che sono piu' vicini a noi, di solito, sono piu' importanti di quelli lontani), ma questo e', in definitiva, il primo studio che suggerisce che, con la sola immaginazione di qualcosa vicino alle nostre mani, l'attenzione viene orientata maggiormente verso la direzione immaginata.
I ricercatori suggeriscono che questa scoperta indica che il nostro ''spazio peripersonale'' (lo spazio attorno al nostro corpo) puo' essere esteso nello spazio in cui la postura immaginata ci ha portato. Essi notano che si potrebbero avere dei vantaggi con queste abilita', come la possibilita' di capire meglio se un'obiettivo e' realistico (per es. ''Posso raggiungere la mensola piu' alta della credenza?'') e aiutandoci ad evitare eventuali conflitti. Gli autori concludono che il presente studio conferma l'idea che e' stata da sempre utilizzata dagli psicologi dello sport, dai professionisti della motivazione e, anche come diceva John Lennon, che l'immaginazione ha la straordinaria capacita' di formare la realta'.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/146152.php

sabato 18 aprile 2009

Flavonoidi del cacao migliorano le peformance cognitive

I cibi ricchi di cacao possono migliorare le performance nei compiti impegnativi per il cervello, come la matematica. A questo ha condotto uno studio presentato alla conferenza annuale della British Psychological Society di Brighton.
Il dott. Crystal Haskell del Brain, Performance and Nutrition Research Centre della Northumbria University dice:
''I cibi che contengono un alto livello di flavonoidi del cacao, come il cioccolato, sono capaci di incrementare il flusso sanguigno del cervello ed, inoltre, il consumo di piante che hanno queste caratteristiche, migliora la performance nei compiti impegnativi. Abbiamo voluto capire se i flavonoidi del cacao producono gli stessi effetti''.
Durante lo studio, 30 adulti in salute, hanno consumato bevande a base di cacao in giorni differenti. A seconda dei giorni, hanno assunto bevande contenenti o 520 mg di flavonoidi del cacao o 993 mg o una bevanda senza flavonoidi. In seguito, sono stati affidati loro dei compiti, come per esempio contare al rovescio per tre, partendo da 999.
Nei giorni in cui i soggetti avevano assunto la bevanda contente 520mg o 993mg di flavainodi di cacao, si e' visto che le loro prestazioni nei compiti aritmetici erano migliori. Sembravano, inoltre, anche meno affaticati mentalmente.
''Le bevande ricche di flavonoidi migliorano significativamente le perforamance cognitive ed i livelli di sopportazione della fatica durante lo sforzo mentale da sostenere durante lo svolgimento dei compiti'' dice Crystal.
''I principi attivi di molti farmaci che si prescrivono comunemente derivavano direttamente da piante; avevamo l'idea che le sostanze chimiche estratte dalle piante, come le comuni droghe che si consumano in compagnia, potessero danneggiare la funzionalita' del cervello. I risultati presentati dimostrano che i principi attivi estratti dalle piante e i componenti chimici contenuti nei comuni cibi possono anche migliorare le performance cognitive e l'umore.'' aggiunge il Dr. David Kennedy commentando, in conclusione, i risultati.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/145381.php

Nati leader

Uno studio presentato alla conferenza annuale della British Psychological Society tenutasi a Brighton ha mostrato che i comportamenti che caratterizzano i vari stili della leadership sono legati a fattori genetici.
La ricerca, condotta dal Dr. Carl Senior ed un team internazionale di ricercatori provenienti dalla Aston Univerity di Birmingham, dall'Institute of Psychiatry di Londra e dall'Universita' di Pittsburgh, si e' concentrata sul piu' forte stile della leadership e le possibili implicazioni genetiche che lo determinano.
Lo stile, chiamato trasformazionale, e' uno stile in cui il leader motiva i membri del proprio team per raggiungere il massimo potenziale, attraverso carisma, considerazioni e supporto individuale e stimolazione intellettuale.
Il gruppo dei ricercatori ha cercato di capire quali geni fossero coinvolti nella sintesi della dopamina, il neurotrasmettitore che favorisce empatia, e della serotonina che ha un ruolo chiave nelle emozioni. Hanno cosi' individuato 2 geni, uno e' il catechol-O-methyltransferase (COMT) ed il secondo e' il serotonin transporter gene (5-HTTLPR). Entrambi possono presentarsi in tre differenti forme.
A 115 studenti e' stato chiesto di compilare un questionario sulla leadership mentre, da un tampone di saliva, venivano analizzati i geni. Gli studenti con geni lagati alla dopamina, nella loro forma piu' comune, hanno avuto un punteggio maggiore nel test in riferimento alla leadership trasformazionale. Quelli che non avevano questa caratteristica invece non hanno ottenuto risultati coerenti con questo tipo di leadership.
Nel follow-up, il team di ricercatori ha trovato che, una specifica versione del gene legato alla dopamina, la versione meno stimolante, e' anche legata a bassi punteggi di due caratteristiche importanti in questo stile di leadership: la stimolazione individuale ed il carisma.
''Questa ricerca e' eccitante,''dice il Dr. Senior ''perche' mostra che possiamo avere almeno alcune propenisoni genetiche per uno o l'altro stile di leadership. Possiamo usare, quindi, le conoscenze che riguardano i geni, al di la' dello stile della leadership, per migliorare il modo con cui addestriamo i futuri leader di successo.''

Fonte:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/145386.php
http://www.ormes.it/news.php?idNews=12

mercoledì 15 aprile 2009

Meno rischio depressione con un work team entusiasta

Una ricerca pubblicata su Occupational and Environmental Medicine spiega che i componenti di un team senza forza, vigore, energia e brio, sono maggiormente esposti al rischio depressione. La scoperta e' basata su un campione rappresentativo composto da 3.347 lavoratori finlandesi di eta' compresa tra i 30 e 64 anni.
E' stata indagata la percezione dell'ambiente di lavoro che ogniuno ha, includendo fattori come, spirito del team, la qualita' della comunicazione ed il grado di controllo sulla richiesta cognitiva dei compiti lavorativi.
E' stato chiesto loro di valutare l'ambiente lavorativo secondo quattro descrizioni dell'atmosfera del posto di lavoro: incoraggiamento e supporto a nuove idee, pregiudizio, semplicita' e piacevolezza oppure irrascibilita' e sgradevolezza.
E' stato anche chiesto loro di descrivere la loro vita sociale, sistemazione residenziale ed accesso al servizio sanitario.
In seguito, e' stata valutata la tendenza verso la depressione, l'ansieta' e d il consumo di bevande alcoliche; da un registro sanitario nazionale, inoltre, sono state raccolte informazioni in merito all'assunzione o prescrizioni di farmaci antidepressivi nei tre anni precedenti.
Si e' potuto appurare che, in un ambiente di lavoro percepito come sgradevole vi e' un piu' basso spirito di gruppo; questa inforamzione e' pervenuta dalla percezione dell'ambiente di lavoro da parte di ogni singolo individuo. Inoltre, non si ha un'associazione con l'ansia e con il ricorso all'alcool quando i lavoratori detengono una certa capacita' di controllo individuale sui compiti lavorativi.
Coloro i quali percepiscono il team poco stimolante per oltre il 60% riportano sintomi di depressione, invece, ed il 50% di essi assume regolarmente antidepressivi.
''Depressione ed ansieta' sono disordini comuni che affliggono anche la popolazione dei lavoratori e questo provoca un certo numero di lavoratori assenti per malattia e l'impossibilita' di lavorare adeguatamente.'' dice l'autore della ricerca.
I ricercatori inoltre puntano a capire perche', sebbene i disturbi mentali e dell'umore non siano sostanzialmete aumentati negli ultimi anni, in Finlandia, tra il 1990 ed il 2005, si e' registrata un'esplosione delle prescrizioni dei farmaci antidepressivi.
''Si dovrebbe fare maggiore attenzione ai fattori psicologici del posto di lavoro'', aggiungono.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/145556.php

martedì 14 aprile 2009

I motoneuroni si rimettono in moto

Per la prima volta, i ricercatori hanno chiaramente mostrato la rigenerazione di specifici tipi di cellule che, partendo dal cervello e attraversando la colonna vertebrale, sono artefici dei movimenti volontari. La rigenerazione di alcune regioni cerebrali danneggiate dei ratti e' stata dimostrata dai neuroscienziati dell'Universita' di San Diego. Questa ricerca e' stata pubblicata il 6 Aprile nell'edizione on line di Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
"Questa scoperta suggerisce un metodo per la rigenerazione delle fibre del sistema nervoso meglio conosciute come motoneuroni corticospinali. Il ripristino di questi assoni e' un essenziale passo per permettere ai pazienti affetti da immobilita' dovuta a lesioni del midollo spinale, il recupero dei movimenti volontari.'' dice il Dott Mark Tuszynski professore di neuroscienze e direttore del Center for Neural Repair at UC di San Diego, e neurologo.
Il tratto corticospinale e' un notevole tratto costituito da fibre nervose chiamate assoni lunghi, che va dalla corteccia cerebrale e attraversa la colonna vertebrale; invia segnali per i movimenti dal cervello ai muscoli. I movimenti volontari si verificano a seguito dell'attivazione dei motoneuroni superiori che risiedono nel lobo frontale ed estendono i loro assoni, giu' per la colonna vertebrale ai motoneuroni inferiori. I motoneuroni inferiori, a turno, inviano i loro assoni alle fibre muscolari. Nelle severe lesioni del midollo spinale, gli assoni che ''viaggiano'' lungo il tratto corticospinale, non forniscono la sinapsi ai motoneuroni inferiori che, quindi, non hanno piu' il collegamento col cervello operato proprio dai motoneuroni superiori.
''Gli studi precedenti sulle lesioni del midollo spinale hanno fornito prove della rigenerazione delle fibre nervose che producono i movimenti volontari, ma non hanno dimostrato in modo convincente la rigenerazione delle fibre del tratto corticospinale'' dice il dott. Tuszynski, ipotizzando che questo sia dovuto a intrinseche limitate capacita' dei neuroni del tratto corticospinale di accedere ai geni che permettono la rigenerazione cellulare dopo le lesioni. Egli aggiunge che, senza la rigenerazione degli assoni del tratto corticospinale, e' probabile che non sia ottenibile un recupero funzionale adeguato negli esseri umani.
Il team dell'Universita' di San Diego ha raggiunto questi risultati ad opera di operazioni di ingegneria genetica sui neuroni danneggiati, attraverso la sovra-stimolazione dei recettori selettivi per un tipo di proteina, fattore della crescita del sistema nervoso, chiamata BDNF (brain-derived neurotrophic factor). Questo fattore di crescita e' stato somministrato ai ratti con regioni cerebrali interessate da lesioni. Si e' visto che il fattore di crescita BDNF interagendo col recettore trkB, e' stato in grado di rigenerare la parte danneggiata. In assenza della sovrastimolazione del recettore non vi e' stata, invece, alcuna rigenerazione.
Sebbene il recupero funzionale negli animali non sia stato ancora valutato, lo studio dimostra per la prima volta che, la rigenerazione del sistema corticospinale che normalmemente non risponde ai trattamenti puo' essere raggiunto in regioni cerebrali lesionate.
"Il prossimo passo sara' provare il trattamento nelle regioni danneggiante del midollo spinale, utilizzando il fattore di crescita sui recettori che si trovano sugli asssoni che coprono tutto il tratto del midollo'' dice il dott. Tuszynski, aggiungendo che i ricercatori dell'Universita' di San Diego stanno gia' lavorandoci su.
''Valuteremo se la rigenerazione delle fribre nervose corticospinali determinera' il recupero funzionale e ripristinera' i movimenti volontari negli animali''.
Questo studio e' legato ad un altro condotto nei laboratori del Dott. Tuszynski, pubblicato l'8 febbraio nel numero di Nature Medicine, il quale dice che il BDNF puo' essere usato come una potenziale terapia per la riduzione delle cellule cerebrali perse nel Morbo di Alzheimer.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/145276.php
http://en.wikipedia.org/wiki/Brain-derived_neurotrophic_factor (in inglese)

domenica 12 aprile 2009

Il sonno riordina il cervello e favorisce l'apprendimento

Una nuova teoria a riguado dei benefici del sonno per il cervello, che prende le mosse dai moscerini della frutta, e' stata pubblicata su Science. I ricercatori dell'Universita' Washington di St. Louis hanno trovato le prove che il sonno, gia' riconosciuto come ricognitore e promotore della memoria a lungo termine, aiuta a mantenere pulite ''le stanze del cervello'' destinate ad ospitare le nuove informazioni apprese.
La domanda critica e':
''Come si modificano nel sonno molte cellule nervose, sinapsi o giunture che comunicano tra loro?''
I neurologi credono che la creazione di nuove sinapsi e' un mezzo chiave con cui il cervello codifica le informazioni contenute nella memoria e quelle relative al materiale appreso durante il corso della veglia, ma questo processo, ovviamente, non puo' rimanere invariato.
"Ci sono un numero di ragioni che ci spiegano perche' il cervello non puo' creare un numero indefinito di sinapsi, considerando anche il limitato spazio nel cranio" dice il Dott. Paul Shaw, autore della ricerca e assistente professore di Neurobiologia all'Universita' Washington di St. Louis. ''Siamo stati in grado di tracciare la creazione di nuove sinapsi nei moscerini della frutta durante le nuove esperienze di apprendimento, ed abbiamo visto che il sonno ne elimina un certo numero".
Gli scienziati non sanno ancora come le sinapsi vengono eliminate. Secondo la loro teoria, solo le connessioni meno importanti sono spazzate via, mentre connessioni che codificano importanti informazioni sono mantenute.
Molti aspetti del sonno dei moscerini sono simili al sonno umano; per esempio, i moscerini e gli umani deprivati del sonno di un giorno proveranno a recuperare molte delle ore perse il giorno seguente. Siccome il cervello degli esseri umani e' molto piu' complesso, il Dott. Shaw ha usato i moscerini della frutta per rispondere alle domande circa sonno e memoria.
Tutti sanno che il sonno e' promotore dell'apprendimento, ma tre anni fa il Dott. Shaw dimostro' il contrario rivelando che l'apprendimento aumenta i bisogni di sonno nei moscerini della frutta. In un numero del giornale Science del 2006 che pubblico' lo studio, il Dott. Shaw ed i suoi colleghi presentarono due separati esperimenti, ogniuno dei quali forniva al cervello del moscerino della frutta un allenamento diverso, incrementano il bisogno di sonno.
Il primo esperimento e' stato ispirato da una ricerca sugli essere umani in relazione all'arricchimento dell'ambiente sociale per migliorare memoria ed altre funzioni cerebrali. Gli scienziati hanno scoperto che i moscerini cresciuti in un ambiente sociale "allargato" (un tubo pieno di altri moscerini) dormono approssimativamente 2-3 ore di piu' dei moscerini cresciuti in solitudine.Nel secondo, i ricercatori, esposero i maschi della specie alle femmine, ma con un trucco; erano presenti sia femmine gia' accoppiate sia maschi modificati geneticamente in grado di emettere feromoni femminili. Tutte le mosche, cosi', rifiutarono i tentativi di accoppiamento delle mosche test. Le mosche test furono allora mantenute in isolamento per due giorni ed esposti anche alle femmine recettive. Le mosche test che ricordavano i precedenti fallimenti non provarono ad avvicinarsi nuovamente a quelle da cui avevano ricevuto un rifiuto; questi moscerini, inoltre avevano dormito di piu'. I ricercatori conclusero che queste mosche codificarono le momorie delle loro precedenti esperienze, e questo prova piu' direttamente il legame tra sonno e nuove memorie.
Gli scienziati rifecero questi test per uno studio nuovo, ma questa volta usarono mosche geneticamente modificate per cercare il piu' possibile di tracciare lo sviluppo delle nuove sinapsi e le giunzioni con le quali le cellule cerebrali comunicano.
''La piu' grande sorpresa fu che delle 200,000 cellule cerebrali dei moscerini della frutta solo 16 furono coinvolte nella formazione delle nuove memorie" dice il primo autore della ricerca Dott. Jeffrey Donlea. ''Questi sedici neuroni ventro-laterali, fanno parte del circuito circadiano che permette al cervello delle mosche di performare certi comportameti in paritcolari ore del giorno."
Quando i moscerini dormono, il numero di sinapsi, formatesi durante l'arricchimento sociale a cui sono stati esposti durante le ore del giorno, diminuisce. Quando i ricercatori deprivano loro del sonno, questo non avviene.
Il dott. Donlea identifico' tre geni essenziali da cui dipende il legame tra apprendimento e incremento dei bisogni di sonno. I moscerini mancanti di uno di questi geni non ebbe l'incremento dei bisogni di sonno dopo l'arricchimento sociale o dopo la prova di accoppiamento.
Uno di questi tre geni e' equivalente a quello umano conosciuto come il gene SRF. Gli scienziati hanno precedentente collegato questo gene alla plasticita' cerebrale, intesa come cambiamenti cerebrali che includono apprendimento e memoria e la generale abilita' del cervello di ricostruire le connessioni neurali per adattarsi alle lesioni o per necessita' di modificarle.
Il nuovo studio dimostra che il gene SRF potrebbe offrire un importante vantaggio agli scienziati sullo studio della plasticita' cerebrale: sfortunatamente gli altri geni connessi con la plasticita' non sono associati alla sopravvivenza delle cellule.
''Questo potrebbe essere di importante aiuto per i nostri sforzi sullo studio della plasticita' del cervello, in quanto ci porterebbe a escludere un elevato numero di fattori che potrebbero generare confusione'' dice il co-autore della ricerca Naren Ramanan, assistente professore di Neurobiologia. "Possiamo alterare l'attivita' del gene SRF e non temere se i cambiamenti delle funzioni cerebrali sono dovuti alla plasticita' neurale o alla rimozione di cellule''.
Il prof. Shaw pianifica future ricerche in merito al legame tra memoria e sonno, includendo anche studi su come, l'incremento delle sinapsi, induce maggior bisogno di sonno.
''Giusto adesso un sacco di persone sono spaventate per il loro lavoro e la loro personale economia, e alcune non hanno alcun dubbio che perderanno il sonno a causa di queste problematiche.'' dice il prof. Shaw. ''Questi risultati suggeriscono, invece, che la migliore cosa da fare e' assicurarsi di essere attenti e vigili e, per aumentare la probabilita' di mantenere il posto di lavoro, la priorita' e' concedersi le sufficienti ore di sonno.''

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/145011.php

Effetti anticancro dei componenti della Marijuana

Guglielmo Velasco e colleghi dell'Universita' Complutense di Madrid, hanno fornito prove che suggeriscono che i cannabinoidi come i maggiori componenti attivi della mariuana (THC) hanno effetti anticancro sulle cellule del cervello umano.
Nello studio e' stato trovato che il THC induce la morte di varie serie di cellule cerebrali cancerogene attraverso un processo conosciuto come autofagia.
Coerentemente con i dati ottenuti in vitro, l'attivita' della THC nei topi con cellule tumorali umane, rallenta lo sviluppo dei tumori e induce le cellule tumorali al processo di autofagia. L'analisi di due pazienti con un tumore riccorrente, il glioblastoma multiforme, un tumore aggressivo del cervello, che hanno ricevuto somministrazioni intracraniche di THC, ha messo in evidenza un'aumentata attivita' di autofagia delle cellule tumorali, e gli autori suggeriscono che la somministrazione di cannabinoidi puo' portare ad un nuovo approccio al trattamento del cancro degli essere umani.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/144770.php

sabato 11 aprile 2009

La salute viene invecchiando

I ricercatori dell'Universita' di Boston hanno identificato specifici tratti di personalita' associati a longevita' e buona salute nella terza eta' studiando i figli dei centenari. Il lavoro e' stato condotto in collaborazione con gli scienziati del National Institute on Anging. Questo studio e' attualmente pubblicato on-line nel Journal of the American Geriatrics Society.
Ricerche precedenti sui fratelli e figli di centenari hanno rivelato che l'eccezionale longevita' di quest'ultimi e' comune nella famiglia. Gli studi sui figli dei centenari dimostrano che la loro percentuale di mortalita' e' 120% piu' bassa rispetto ad altri membri della loro stessa coorte di nascita e che hanno tassi marcatamente piu' bassi riferiti all'inizio di malattie cardiovascolari, ipertensione, e diabete mellito, malattie che affliggono questi individui con un maggiore ritardo rispetto agli altri. Siccome i tratti di personalita' indagati hanno delle sostanziali componenti che possono essere trasmesse di generazione in generazione, i ricercatori hanno supposto che certe caratteristiche di personalita' osservate nei figli dei centenari, possono essere fondamentali per mantenere la buona satute nella terza eta'.
Utilizzando il questionario NEO-Five-Factor Inventory (NEO-FFI), un test della personalita', somministrato a 246 individui (125 donne e 121 uomini) con legami di parentela coi centenari, con una eta' media di 75 anni, si sono misurati tratti di personalita' quali tendenza alla nevrosi, estroversita', apertura mentale, accondiscendenza e coscienziosita'.
Sia gli uomini e sia le donne discendenti dai centenari, hanno fatto registrare valori piu' bassi della norma per tendenza alla nevrosi e si e' potuto appurare un piu' elevato valore di estroversita'. Nelle donne si e' inolte notato un maggior livello di accondiscendenza. Comunue, entrambi i sessi si sono piazzati a livelli normali di coscienziosita' e apertura mentale e, negli uomini, si sono osservati livelli normali di accondiscendenza.
Secondo i ricercatori, i tratti della personalita' della prole dei centenari sembrano avere distinte caratteristiche che possono avere implicazioni importanti per la loro longevita'.
''E' molto interessante sottolineare che, mentre uomini e donne si differenziano sostanzialmente per le loro caratteristiche di personalita', gli uomini e le donne della famiglia dei centenari tendono a essere simili, e questo la dice lunga sull'importanza di questi tratti, a prescindere dal genere, anche per la longevita' e salute.''
E' molto probabile che la scarsa tendenza a sviluppare nevrosi e l'alta estroversita' conferiranno a questi individui salute e annessi benefici'' dice Thomas Perls, autore della ricerca e direttore dello studio.
''Per esempio, le persone che sono meno nervose, hanno una maggiore capacita' di affrontare e regolare le situazioni di stress, piu' efficacemente di coloro con maggiori livelli di nervosismo. Ugualmente, la maggiore estroversita' e' stata associata con stabili relazioni amicali e con la maggiore tendenza a riguardarsi e curarsi'', aggiunge.
Il dott. Perls infine afferma:
''Queste scoperte suggeriscono che la personalita' e' un importante caratteristica da includere in studi che misurano le determinanti genetiche ed ambiantali sulla longevita'. Studi simili, purtroppo, sono attualmente sottovalutati''.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/145173.php

giovedì 9 aprile 2009

Le abitudini alimentari dei figli sono influenzate dalla personalita' materna

Le madri con molti sentimenti e pensieri negativi sono piu' portate a fornire ai loro bambini cibo non salutare. E' dimostrato da uno studio condotto dal Norwegian Institute of Public Health (NIPH) in collaborazione con l'Universita' di Oslo.
E' la prima ricerca del mondo che analizza la dieta dei bambini combinata con variabili psicologiche e sociodemografiche riferite alla madre. Sono state coinvolte 27.763 madri, a cui e' stato chiesto di descrivere la frequenza con cui i propri figli, di 18 mesi, rifiutavano 36 tipi diversi di cibo e bevande. Da questa eta', i bambini, imparano a preferire dolci e cibi ad alto contenuto di grassi rispetto ai cibi salutari.
''Abbiamo visto che le madri psicologicamente instabili, ansiose, arrabbiate, tristi, insicure o che hanno una visione negativa del mondo sono piu' propense a lasciare che i loro figli mangino dolci e cibi grassi. Allo stesso tempo, pero', non abbiamo notato un legame tra la personalita' materna e dieta salutare, per la maggior parte, costituita da frutta e verdure'' dice lo psicologo Eivind Ystrøm del NIPH.
Questi tratti della personalita' materna ricadono sotto il nome collettivo di affettivita' negativa (emozioni negative). Queste persone spesso hanno una bassa capacita' di sopportare lo stress, si arrendono facilmente di fronte agli ostacoli e spesso hanno una scarsa capacita' di controllo sui bambini.
''Credo che le madri cerchino di compensare questi tratti negativi provando a forzare i propri figli ad assumere cibi salutari o trattenerli dal consumare troppi dolci. Paradossalmente, cercano di bilanciare il loro scarso controllo sui loro figli, con un maggior controllo. Con la forza e le restrizioni, le madri, non fanno altro che aumentare il desiderio dei figli di consumare i cibi proibiti, e questo desiderio si trasforma velocemente in resistenza da parte dei bambini nella forma di capricci e collera, alle quali, queste madri, scarsamente resistono. Gli studi precedenti, inoltre, dimostrano che, i tentativi di controllo dei genitori sono correlati con una dieta dei figli ricca di zuccheri.''
Ystrøm crede che le conoscenze in merito alla correlazione tra i tratti della personalita' dei genitori e le abitutini alimentari dei figli saranno utili per il personale sanitario e per i dietisti e esperti dell'alimentazione.
''Le persone con un gran numero di emozioni negative spesso esprimono paura e sembrano essere insicure e non di aiuto. Le ricerche di questo tipo possono aiutare a costituire un insieme di strumenti e consigli che alleviano da stress e mancanza di forza dei genitori nell'affrontare quotidianamente le problematiche dietetiche dei figli. Purtroppo, non potremmo studiare i padri, anche se presumiamo che anche essi abbiano un ruolo importante in questi meccanismi. Gli uomini con sentimenti negativi spesso presentano forme di ansieta' e rabbia, ma d'altronde queste caratteristiche sono identiche tra i due sessi.''
La ricerca e' stata condotta anche seguendo alcuni fattori sociodemografici; il sesso del bambino, la dipendenza da fumo della madre, avviamento del bambino all'asilo nido, il livello di studio e l'eta' della madre, il numero di figli, reddito e situazione familiare. Questi dati sono stati raccolti dal Medical Birth Registry della Norvegia (una specie di anagrafe). Nessuno di questi, pero', spiega la correlazione indagata.
''Oppure, presupponiamo che l'impatto dei fattori sociodemografici non ha avuto un grosso effetto sui tratti della personalita' della madre.'' dice Ystrøm.
- Le madri fumatrici, con alto reddito, che hanno bambini di sesso maschile, avviati al nido, con piu' di un figlio, sono meno propense a dare loro cibo sano.
- Le madri fumatrici, con un alto reddito e/o piu' figli, con una maggiore probabilita' daranno cibo non salutare ai loro figli.
- Le madri con elevato livello di studio e/o piu' anziane sono piu' propense a fornire ai loro figli cibo sano.
Questo e' anche il primo studio sui pattern nutrizionali di bambini cosi' piccoli.
''Questo e' importante perche' abbiamo scoperto che i fattori sociodemografici di rischio che sono stati identificati da studi precedenti condotti su bambini da 3 a 6 anni, sono gli stessi che influenzano le abitudini alimentari dei bambini di 18 mesi. Quindi questo dimostra che le capacita' dei genitori di controllare i fattori di stress che gli affliggono, puo' influenzare le abitudini alimentari dei bambini gia' in eta' piu' tenera.''
Il numero e la grandezza degli indicatori che riguardano le abitudini alimentari dei bambini sono stati limitati, come anche i tipi di cibo. I ricercatori hanno solo valutato quali cibi sono rifiutati dai bambini e quali preferiti e come questi cibi sono stati loro forniti. In ultimo, una completa analisi della personalita' delle madri, ovviamente, contribuirebbe a darci un quadro piu' generale ed esaustivo sugli effetti che queste personalita' sortiscono sui figli.
''Quindi, gli studi futuri dovrebbero includere tutti i cinque tipi di tratti di personalita' di base che sono usati di solito nei test di personalita'. (estroversita', controllo, socievolezza, apertura alle nuove esperienze e affettivita'). Sarebbe infine molto interessante osservare queste relazioni molto piu' da vicino'' conclude Ystrøm.
Negli studi precedenti, Ystrøm ed i suoi colleghi hanno evidenziato che madri con un alto livello di negativita' smettono di allattare il proprio figlio al seno prima dei 6 mesi di solito raccomandati.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/145151.php

martedì 7 aprile 2009

Una vita in fumo

La nicotina non da' solo dipendenza, ma puo' interferire e disturbare dozzine di interazioni tra cellule. Le informazioni ottenute nello studio condotto dagli scienziati della Brown University, possono aiutare a sviluppare trattamenti migliori per varie forme di malattie procurate dal fumo. Le compagnie farmaceutiche si affidano a ricerche di base per identificare nuove interazioni cellulari che possono, a seconda della patologia, essere usate come bersaglio dei potenziali nuovi farmaci.
''Questa studio ha aperto parecchie nuove strade da perseguire con la ricerca'' dice il Professor Edward Hawrot, professore di Scienze molecolari, Farmacologia, Pisiologia e Biotecnologia della Brown University.
Lo studio di Hawrot e' stato pubblicato sul Journal of Proteome Research del 3 aprile. Egli, assieme al suo team che include gli studenti William Brucker e Joao Paulo, ha provveduto a fornire informazioni preziose per superare le conoscenze di base su come la nicotina attacca i processi di comunicazione cellulare attraverso il sistema nervoso.
I ricercatori si sono basati sul recettore acetilcolinico Alpha-7 nel tessuto cerebrale dei topi. Un recettore molto simile esiste negli uomini. Il recettore Alpha-7 e' il piu' enigmatico dei cosiddetti recettori ''nicotinici''. Questi recettori sono chamati in questo modo perche' la nicotina, quando e' nel corpo, si lega ad essi. La maggior parte dei recettori si trova sulla superficie delle cellule e sono sensibili a piccoli segnali molecolari, i neurotrasmettitori, come l'acetilcolina, la quale e' il segnale naturale che viene utilizzato dalle cellule per attivare il recettore Alpa-7.
Si e' scoperto che ben altre 55 proteine differenti interagiscono col recettore nicotinico Alpha-7.
''Questo recettore e' un recettore nicotinico e pensavamo avesse una interazione solo con la nicotina. In realtra' ha moltissime funzioni nel cervello.'' dice Hawrot.
"In varie e specifiche regioni del cervello il recettore Alpha-7 puo' interagire con differenti proteine contenute nei neuroni ed agire in diversi modi''.
La proteina G alpha, e' stata una fra le piu' inaspettate proteine osservate tra quelle identificate nello studio e comunemente associate a classi di recettori completamente differenti. (L'omonima proteina-G legata ai recettori GPCR)
La scoperta e' significativa perche' la proteina G alpha e' coinvolta in molti differenti processi di comunicazione cellulare e biochimici attraverso il cervello ed il resto del corpo. Per farci un'idea dell'importanza di questa proteina dobbiamo considerare il fatto che il 40% dei farmaci che si utilizzano attualmente agiscono su una larga familia di recettori GPCR.
La nicotina puo' colpire i processi del nostro organismo e forse, interferire anche con le azioni dei farmaci che utilizziamo, in modo maggiore di quanto supposto fino ad ora.
''Il passo avanti fatto con questo studio potrebbe sortire un effetto positivo sullo sviluppo di nuovi trattamenti per combattere la dipendenza da fumo. Allo stesso tempo, la scoperta puo' anche avere implicazioni future per alcuni tipi di malattie come la Schizofrenia.'' dice Hawrot.
Recenti studi sui geni hanno suggerito che, alcuni casi di schizofrenia sono associati con delezioni a seguito delle quali blocchi di geni, incluso anche il gene dell'Alpha-7, vengono completamente rimossi e quindi risultano mancanti. Hawrot aggiunge che si ha, inoltre, la possibilita' di sviluppare nuovi trattamenti per coloro che soffrono di questo tipo di disordine, anche se si e' ben lontani dal trovare un rimedio definitivo.
Per condurre il loro studio, i ricercatori hanno utilizzato dei topi con carenza del recettore nicotinico per l'acetilcolina Alpha-7. Questi topi successivamente sono stati confrontati con quelli normali e in questo modo si sono potute evidenziare le differenze legate a quei recettori associati alle proteine studiate.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/145155.php
http://www.unisr.it/BiotechBook/view.asp?id=111

lunedì 6 aprile 2009

Cosa c'entra la psicologia con la crisi economica?

Gli scorsi 18 mesi hanno visto un eccezionale inversione dell'economia in molti Stati sviluppati. Una ricerca presentata dalla British Psychological Society (Organizzazione Britannica degli Psicologi) nella conferenza annuale tenutasi a Brighton, spiega qual'e' l'impatto psicologico della crisi e come gli psicologi potrebbero aiutare a riavviare l'economia.
In questa sede Peter Cooper, direttore generale del CRAM International ed il Professor Stephen Lea dell'Univerista' di Exeter (Devon, Regno Unito) hanno presentato le loro scoperte e introdotto altri lavori e studi in corso. Suggeriscono, inolte, le tecniche che gli psicologi possono adottare per formare le future politiche e pensieri della gente, che aiuteranno l'economia a venire fuori dalla recessione.
Il Professor Lea ha parlato della psicologia del denaro. Egli dice:
''Il denaro rappresenta una forte motivazione nella societa'. Ancora molto diversa da altre forti motivazioni come il cibo o il sesso, essa non ha una apparente o diretta natura biologica. Puo' essere vista non solo come un utile strumento per la societa', ma anche come una potente droga. In un certo senso il denaro e' una mania. Il denaro e gli stumenti finanziari tipo azioni e capitali, hanno una valenza importante perche' tutti lo credono e tutti credono che siano, in ogni caso, al sicuro e fonti di sicurezza.''
''In realta' il supporto proveniente da alcuni tipi di investimenti e' collassato e questo ha portato a disordini comportamentali. D'altro canto, moltissime persone sono finite in situazioni di debito o situazioni molto vicine al debito''
''Dobbiamo considerare, comunque, un effetto psicologico di massa che ha riguardato sia debiti sia denaro, che ha contribuito alla crisi economica attuale.''
Peter Cooper, che e' anche membro del Market Research Society (Organizzazione delle Societa' di Ricerche di Mercato) sta attualmente studiando l'impatto della crisi economica sulla salute mentale e il benessere della gente.
Il Dott. Cooper dice:
''Per molte persone la recessione sta creando profonde paure in merito alla perdita di proprieta', amore, rispetto; in poche parole, una vita priva di significato''.
''L'ansieta' e depressione hanno subìto un incremento in modo evidente. Molti rimpiangono il fatto di non essere stati piu' avidi nel passato. Altri vedono in questa crisi l'opportunita' di chiudere i conti col passato e approfittare di una 'nuova ripartenza'. Comunque, a molte persone mancano le risorse psicologiche per affrontare questa situazione''
''I fattori psicologici hanno giocato una parte importante nell'attuale crisi e sono critici adesso nella sua risoluzione e per il benessere individuale e sociale. Comprendendo i bisogni psicologici delle persone e lavorando in stretto contatto con le organizzazioni in campo, come quelle economiche e politiche, possiamo aituare la gente a forgiare proprio il nuovo mondo che sta cercando''.
Il congresso della British Psychological Society si e' tenuto all'Holiday Inn a Brighton dal 1 al 3 aprile 2009.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/144844.php

domenica 5 aprile 2009

L'intelligenza viene dallo spessore del cervello

I ricercatori dell'Istituto Neurologico di Montreal hanno trovato una correlazione significativa tra le abilita' cognitive e lo spessore della corteccia cerebrale in cervelli di soggetti compresi in una fascia di eta' che va da 6 a 18 anni. La correlazione e' maggiormente evidente nelle regioni cerebrali che integrano informazioni provenienti da diverse parti del cervello.
Lo studio e' stato pubblcato sul corrente numero di Intelligence il piu' ampio e competente giornale del settore che diffonde informazioni relative alla salute di bambini e adolescenti.
Questo studio e' un appendice di un altro precedente, che si era occupato di studiare il normale sviluppo cerebrale. Sono state utilizzate immagini ottenute con la Risonanza magnetica funzionale (fMRI) e altre informazioni sulla struttura del cervello durante lo sviluppo.
Ad intervalli regolari, bambini ed adolescenti, di eta' compresa tra 0 e 18 anni, sono stati sottoposti a tecniche di neuroimmagine ed inoltre sono stati sottoposti a test di intelligenza, neuropsicologici, verbali e non verbali e comportamentali. Le informazioni raccolte permettono di studiare come i normali cambiamenti dovuti allo sviluppo modificano l'anatomia cerebrale correlata alle abilita' motorie e comportamentali, come la coordinazione motoria e l'acquisizione del linguaggio. Possono essere valutate persino le abilita' di ordine piu' elevato come, le capacita' di previsione e pianificazione, di pensiero, il quoziente intellettivo e le capacita' organizzative.
Gli studi precedenti hanno dimostrato che l'intelligenza e le abilita' congnitive dipendono da diverse aree e strutture cerebrali. L'associazione tra lo spessore della corteccia e l'intelligenza e' stata scarsamete sudiata in passato anche perche' i campioni di soggetti utilizzati erano stati molto piccoli. Con i miglioramenti ottenuti utilizzando la fRMI si e' potuto quantificare lo spessore della corteccia cerebrale e si e' potuto utilizzare un campione piu' ampio. L'obiettivo dei ricercatori e' quello di esaminare questo legame, e piu' in la', caratterizzare ed identificare le aree cerebrali dove lo spessore della corteccia e' associata alle abilita' cognitive.
Lo spessore della corteccia puo' essere, in parte, dovuto all'accumulo di connesioni complesse tra cellule nervose. In altre parole, la corteccia piu' spessa ha piu'connessioni complesse e questo puo' avere certe conseguenze sulle abilita' cognitive. In questo senso, questo legame e' stato trovato spesso in alcune aree cerebrali come il lobo frontale, parietale, temporale e occipitale. Queste sono le regioni con il maggior numero di relazioni, dove le informazioni convergono da varie parti del cervello per essere elaborate.
''La principale scoperta di questo studio e' che l'ipotesi di un modello di intelligenza distribuita e' supportato, in quanto diverse aree del cervello sono coinvolte nelle abilita' cognitive rispetto all'ipotesi dell'esistenza di un solo centro o struttura importante, sede dell'intelligenza.'' dice il Dott. Sherif Karama, psichiatra dell'Istituto Neurologico di Montreal e co-autore dello studio. ''Gli studi precedenti hanno dimostrato una correlazione tra strutture o funzioni. Questa e' la prima volta che la correlazione tra abilita' cognitive generali e essenzialmente molte, ma non tutte, aree corticali associate e' dimostrata nello stesso studio.''
Un'analisi piu' profonda delle normali funzioni e abilita' congitive e' il primo importante passo per comprendere il declino di queste abilita' osservate durante il corso degli anni di vita, come quelle osservabili in varie patologie, dalla Sclerosi Multipla alla Schizofrenia, dalla depressione al ritardo mentale. La comprensione di questi meccanismi ci puo' consentire di adottare alcune linee di intervento che possono essere efficaci nel prevenire od alleviare il declino o le complicazioni delle funzioni cognitive.

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/03/090325132531.htm

I tuoi occhi mi diranno chi sei

Il nostro cervello, per riconoscere i volti, estrae importanti informazioni principalmente dagli occhi e secondariamente da bocca e naso. Questo studio, condotto dai ricercatori dell'Universita' di Barcellona, e' stato pubblicato il 27 marzo dal giornale PLoS Computational Biology ed e' stato ottenuto grazie all'analisi di parecchie migliaia di immagini di visi secondo modalita' simili a quelle del cervello.
Immaginiamo una foto che ritrae il viso di un nostro amico.
Sebbene potremmo pensare che ogni singolo dettaglio della sua faccia sia utile per riconoscerlo, in realta' numerosi esperimenti mostrano che il cervello preferisce piuttosto soffermarsi in modo grossolano sui lineamenti del viso, indipendentemente, invece, dalla distanza dalla quale la faccia e' osservata.
Le ragioni di questo fenomeno non sono state ancora chiarite, ma analizzando 868 immagini di visi maschili e altrettante immagini di volti femminili, questo studio e' in grado di spiegarci perche' questo avviene.
I risultati dicono che il maggior numero di informazioni utili e' ottenuto da una immagine che ha grandezza pari a 30x30 pixel. Inoltre, le immagini degli occhi determinano una minore difficolta' nel riconoscimento del viso. In altre parole questo significa che gli occhi trasmettono al cervello piu' informazioni affidabili per il riconoscimento rispetto a quelle trasmesse da bocca e naso. Questo suggerisce che, i meccanismi per il riconoscimento dei volti sono specializzati nell'elaborazione dell'informazione proveniente dagli occhi.
Questo studio completa un altro lavoro precedente pubblicato in PLoS ONE, in cui si dimostra che, il sistemi robotici di riconoscimento di volti hanno migliori prestazioni quando analizzano immagini di piccole dimensioni e questo vuol dire che le macchine dovrebbero comportarsi esattamente come il cervello umano.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/144282.php

sabato 4 aprile 2009

Suicidio condizionato da disturbi del sonno

Un nuovo studio ha dimostrato che gli adulti con problemi cronici del sonno sono esposti ad un maggiore rischio di suicidio persino se non hanno mai avuto in passato problemi di salute mentale.
La notizia, riportata da BBC news il 1 aprile, e' stata data perche' la ricerca e' stata illustrata al meeting della World Psychiatric Association. L'associazione ha organizzzato il congresso internazionale intitolato Treatments in Psychiatry (Cure in psichiatria) che si e' svolto a Firenze dall'1 al 4 aprile. Il relatore e' stato il Dott. Marcin Wojnar che lavora all'ospedale psichiatrico di Nowowiejski e all'Universita' di Varsavia e Ann Arbor dell'Univerista' del Michigan.
Il dott. Wojnar nella conferenza stampa ha detto che i dottori dovrebbero essere consapevoli del fatto che, quando i pazienti lamentano problemi del sonno, potrebbero essere ad ''alto rischio di suicidio persino se non hanno mai avuto una regressa condizione psichica preoccupante'' e, per cui, dovrebbero essere valutati e curati per questo.
''La nostra scoperta ci dice anche che, curando questi disturbi, si ha un grosso aumento della possibilita' di ridurre tale rischio'', aggiunge.
I ricercatori hanno inoltre dimostrato che gli adulti con problemi psichici e gli adolescenti sono piu' propensi ad avere pensieri suicidi od a tentare il suicidio se hanno disturbi legati alla sfera del sonno, anche se ci sono poche informazioni che ci consentono di comprendere in che modo questi disturibi affliggono la popolazione generale.
Si e' trovata una corrispondenza tra i problemi del sonno e i suicidi (o tentativi) in oltre 5500 americani in un anno.
Durante questi 12 mesi di studio, il 2,6 % dei soggetti ha ammesso di aver pensato al suicidio e lo 0,5% ha tentato di suicidarsi.
Ci sono alcuni tipi di disturbi del sonno che sono maggiormente influenti sui pensieri suicidi e sui tentativi di suicidio. La ricerca ha analizzato tre sintomi dovuti a problemi di sonno, evidenziati dai partecipanti: svegliarsi almeno 2 ore prima dell'orario stabilito, difficolta' ad addormentarsi, difficolta' di stare svegli.
Dopo aver escluso altri fattori quali droghe, malattie, ansieta', depressione, problemi finanziari e di coppia, si e' visto che, essendo affetti da almeno due dei tre sintomi sopraelencati, il rischio di tentato suicidio e' 2,6 volte piu' alto rispetto a coloro che non hanno difficolta' ad addormentarsi.
La notizia riporata dalla BBC diffusa da Reuters, dice che circa un terzo dei partecipanti e' stato affetto da almeno uno di sintomi presi in considerazione.
Svegliarsi almeno 2 ore prima dell'orario voluto e' il fattore che e' piu' strettamente correlato ai tentativi di suicidio.
Il Dr. Neil Stanley, esperto dei disturbi del sonno, dell'Universita' di Norfolk e Norwich ha affermato che questa ricerca sottolinea l'importanza di un buon sonno per la salute fisica, psichica ed emotiva.
Egli afferma che gia' si conoscono gli effetti della carenza di sonno sulla depressione, ma questo studio:
''Suggerisce che l'incremento del rischio di suicidio non e' necessariamente legato alla depressione e cosi' questo puo' affliggere quelle persone valutate dai medici come non a rischio''
I ricercatori non sono stati in grado di dire come la mancanza di sonno salutare spinge a comportameti autolesionisti come il suicidio, ma suggeriscono che porbabilmente questa mancanza affligge le funzioni congitive con ripercussioni sulla capacita' di giudizio, sull'aumento della disperazione e alimentando sentimenti di inutilita'.
Un'altra ragione, dice Wojnar, potrebbe essere legata al fatto che, il non adeguato funzionamento del cervello interessa la serotonina, un neurotrasmettitore in grado di regolare il tono dell'umore, distruba il sonno e le altre funzioni vitali.
L'associazione mondiale della sanita' dice che ogni anno, le persone che si suicidano sono circa 90.000.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/144507.php

mercoledì 1 aprile 2009

Vendetta

La vendetta non paga! E' stato dimostrato da uno studio condotto dall'Universita' di Bonn e Maastricht. Le persone inclini a questi sentimenti sono piu' esposte alla disoccupazione, hanno meno amici e sono meno soddisfatti della loro vita. Questa ricerca e' apparsa sulla corrente edizione di Economic Journal.
Nella nostra esistenza siamo soliti ricambiare favori, aiuti e servigi che ci vengono offerti e dati dalle persone che ci circondano. Per esempio, quando siamo invitati a cena, quando un amico ci aiuta a traslocare; in genere ricambiamo sempre e con la stessa moneta. Gli scienziati sociali dicono che questa si chiama ''reciprocità''. Quindi, colui che ricambia un favore in modo adeguato, si dice abbia una reciprocita' positiva, mentre colui che non ricambia con azioni in linea con l'aspettativa, si dice abbia adottato un comportamento di cattiva reciprocita'
Sia la positiva e sia negativa reciprocita' hanno tratti interdipendenti: molte persone sono maggiormante inclini alla positiva, altri maggiormante a quella negativa, altri ancora inclini ad entrambe. La ricerca di Bonn e Maastricht era orientata a scoprire l'influenza, dovuta a questi tratti del carattere, sul ''successo'' o la ''soddisfazione nella vita''. I ricercatori hanno utilizzato delle informazioni ''socio economiche'' raccolte da studi precedenti dal Deutsche Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto tedesco di ricerche economiche) grazie alle sue indagini annuali. Le persone coinvolte su tutto il territorio tedesco sono state 20.000 ed hanno risposto a domante riguardanti una varita' di argomenti diversi.
I ricercatori di Bonn hanno usato questo strumento per scoprire qualcosa in piu' in merito all'attitudine alla reciprocita' dei partecipanti allo studio. E' stata valutata, per esempio, la tendenza alla restituzione dei favori o, nel caso opposto, del male subito ed alla vendetta. ''Sia la reciprocita' negativa e sia quella postiva sono molto diffuse in Germania'' dice il professor Dr. Armin Falk dell'Universita' di Bonn, analizzando i risultati.
I ricercatori che hanno collegato queste informazioni con le altre ricerche, hanno trovato una serie di interessanti correlazioni: ''Le persone positive hanno una tendenza superiore alla media a ricambiare soprattutto anche quando avvertono la possibilita' di un potenziale vantaggio remunerativo'', dichiare il Professor Dr. Thomas Dohmen dell'Universita' di Maastricht.
''Questi individui sono molto sensibili agli incentivi e quindi tendono a cercar di guadagnare il piu' possibile. da ogni situazione.''
Questo sarebbe in netto contrasto con le persone vendicative. Queste persone, infatti, considerano l'equazione ''piu' lavoro=piu' guadagno'' non sempre applicabile. Persino una riduzione degli sforzi da affrontare non sono sufficienti a riportare sulla retta via questi individui. La cosa piu' pericolosa, inoltre, e' che questi individui tenderanno ha riprendersi una rivincita, per esempio, rifiutandosi di lavorare, sabotando o con dispetti vari.
''Basandoci su queste considerazioni e' lecito aspettarsi teoricamente che le persone non tendenti al reciprocita' positiva sono piu' esposti al rischio di perdere il loro lavoro.''. Il Dott. Armin Falk dell'Universita' di Bonn, aggiunge che questa e' una supposizione che coincide con questi studi e quindi queste persone saranno destinate a costituire una grossa fetta del numero totale dei disoccuapati.
In tutto rispetto, la vendetta non e' il massimo da raccomandare. Tutti coloro che preferiscono comportarsi in modo coerente al motto ''Occhi per occhio, dente per dente'' hanno meno amici e chiaramente sono meno soddisfatti della loro vita.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/143997.php