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mercoledì 18 novembre 2009

Invidia e amore

Un nuovo studio condotto dall'Universita' di Haifa ha permesso di scoprire che l'ormone ossitocina, meglio conosciuto come ''l'ormone dell'amore'', che caratterizza i sentimenti come la fiducia, l'empatia e la generosita', sarebbe determinante anche per i sentimenti negativi opposti maligni come la gelosia.
''A seguito di questa scoperta pensiamo che l'ormone sia l'nterruttore generale che innesca i sentimenti sociali: quando la persona e' in uno stato d'animo positivo, l'ossitocina favorisce comportamenti pro-sociali, quando invece succede il contrario, l'ormone innesca sentimenti negativi", spiega il dott. Simone Shamay-Tsoory che ha condotto la ricerca.
I precedenti studi avevano dimostrato che questo ormone ha un effetto positivo sui sentimenti. L'ossitocina e' rilasciata naturalmente durante il parto e le relazioni sessuali.
I partecipanti in un esperimento durante il quale avevano inalato una forma sistetica di questo ormone avevano mostrato livelli piu' alti di sentimenti altruistici, e si suppose che l'ossitocina giocasse un importante ruolo nella formazione di relazioni tra le persone.
In ogni caso, in studi condotti sui roditori, fu scoperto che lo stesso ormone era correlato ad alti livelli di aggressivita'. Quindi si decise di capire meglio se l'ormone in questione fosse determinante anche per i sentimenti sociali negativi.
Il presente studio, che e' stato pubblicato dalla rivista Biological Psychiatry, ha coinvolto 56 partecipanti. Meta' gruppo ha inalato l'ormone in forma sintetica durante la prima sessione e un placebo durante la seconda, l'altra meta' ha ricevuto un placebo durante la prima sessione ed la forma sistetica dell'ormone nella seconda.
Ai partecipanti, quindi, e' stato chiesto di partecipare ad un gioco contro un'altro giocatore, che in effetti ed a loro insaputa, sarebbe stato un comuputer.
Ogniuno dei partecipanti avrebbe dovuto scegliere una di tre porte, consapevole della somma di denaro nascosta dietro di esse. A volte i partecipenti raccoglievano meno denaro rispetto agli altri giocatori, qualche volta piu', creando tutte le condizioni necessarie a sviluppare sentimenti di invidia e gelosia.
La ricerca dimostra che i partecipanti che avevano inalato ''l'ormone dell'amore'' hanno mostrato maggiori livelli di invidia quando gli avversari vincevano piu' soldi.
Un'altro interessante risultato riguarda il fatto che appena il gioco fini' non si riscontrarono differenze evidenti tra i partecipanti a riguardo di quei sentimenti. Questo significa che i sentimenti negativi furono generati solamente dal gioco in essere.
''Seguendo i risultati dei primi esperimenti con l'ossitocina, cominciammo ad esaminare il possibile uso di questo ormone come un rimedio per vari tipi di disordini, come l'autismo. I risultati del presente studio dimostrano che gli indesiderabili effetti sul comportamento devono essere, pero', esaminati a fondo prima di andare avanti'' conclude il Dott. Shamay-Tsoory.

Fonti: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/11/091112095038.htm?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+sciencedaily+(ScienceDaily:+Latest+Science+News)

sabato 18 luglio 2009

L'attivita' del cervello bugiardo

Usando le comuni tecniche di neuroimmagine, gli psicologi hanno osservato i processi cerebrali in soggetti a cui era stata data la possibilita' di guadagnare denaro in modo disonesto mentendo. Hanno scoperto che nelle persone oneste non si nota una attivita' cerebrale maggiore quando dicono la verita' e questo significa che non sono necessari processi extra cognitivi quando si sceglie l'onesta'. Ad ogni modo, gli individui che si sono comportati disonestamente, persino quando dicono la verita', mostrano un attivita' maggiore nelle regioni cerebrali convolte nei meccanismi di controllo ed attentivi.
Lo studio e' stato pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences ed e' stato condotto dal dott. Joushua Greene, assistente professore di Psicologia nella Facolta' di Arte e Scienze dell'Universita' di Harvard, e da Joe Paxton, uno studente lureato in Psicologia.
''Essere onesti non consiste tanto nel tentativo di esercitare una volonta' come l'essere disposti a comportarsi onestamente in molti e difficili tipi di modi,'' dice Greene. ''Questo puo' non essere vero per tutte le siutazioni, ma sembra vero almeno in questo caso''.
I ricercatori hanno cercato di testare almeno due teorie circa la natura dell'onesta'.
  1. La ''Will'' Theory, in cui l'onesta' risulta dall'attiva resistenza alla tentazione;
  2. La ''Grace'' Theory, in cui l'onesta' e' il prodotto della mancanza di tentazione.
I risultati dello studio suggeriscono che la ''Grace'' Theory e' vera, in quanto i partecipanti onesti non hanno mostrato nessuna maggiore forma di attivita' neurale quando raccontavano la verita'.
Per spingere i partecipanti a mentire, i ricercatori hanno inventato una storia di copertura per i loro studi. La ricerca fu presentata come uno studio sulle abilita' paranormali di predire il futuro.
Ai partecipanti fu chiesto di predire i propri risultati di una serie di lanci di monete, e fu detto loro che i ricercatori credevano che la veridicita' della previsione sarebbe stata maggiore quando veniva dato loro un incentivo economico e quando la previsione non veniva condivisa prima del risultato del lancio. Questo dava ai partecipanti l'opporutnita' di mentire e dire che loro avavano correttamente predetto il risultato del lancio della monetina per ottenre l'incentivo economico.
Se il loro numero di risposte corrette fosse stato statisticamente plausibile significava che gli individui avevano detto la verita' e questa sarebbe stata la misura da utilizzare per valutare l'onesta'.
Gli individui che riportarono alti livelli di accuratezza nella previsione furono classificati come disonesti, mentre i partecipanti che riprotarono livelli plausibili di previsione e di accuratezza furono calssificati come onesti.
I ricercatori sottolineano che ''l'etichetta'' di onesti e disonesti descrive solo i comportamenti degli individui in questa particolare condizione sperimentale e non necessariamente caratterizza il loro comportamento piu' generale.
Usando la Risonanza Magnetica Funzionale (fRMI) Greene ha scoperto che gli individui onesti mostrano una piccola e non aggiuntiva attivita' cerebrale quando riportavano la loro previsione circa il lancio delle monete. D'altro canto, il cervello dei partecipanti disonesti fu maggiormente attivo nelle regioni deputate al controllo quando loro decidevano di non mentire. Queste aree impegnate nel controllo dei comportamenti includono la corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia cingolata anteriore, e ricerche precedenti avevano dimostato che queste regioni sono attive quando viene chiesto a qualcuno di mentire.
Contrariamente alle ricerche precedenti in cui veniva esaminata l'attivita' cerebrale dei soggetti a cui veniva chiesto di mentire, questo e' il primo studio in cui si esamima l'attivita' cerebrale di soggetti che mentono in modo spontaneo.
Questo studio e', inoltre, il primo a esaminare esempi di verita' raccontata da individui che altrimenti sarebbero stati disonesti, e l'attivita' neurale presente quando questi individui scelgono se mentire o meno.
Greene nota che si e' notata un'importante distinzione tra l'attivita' cerebrale gli individui onesti quando dicevano la verita' e quella dei disonesti quando dicevano la verita'.
''Quando le persone oneste lasciano il denaro sul tavolo, non si vede nulla di speciale nell'attivita' del loro cervello'', dice Greene. ''Mentre, quando le persone disoneste lasciano le monete sul tavolo, si osserva la maggiore e robusta attivazione della rete di controllo comportamentale.''
Se le neuroscienze sono in grado di identificare le bugie attraverso l'osservazione dell'attivita' cerebrale dei menzonieri, sara' importante distinguere tra l'attivita' cerebrale mentre si mente e quella causata dalla tentazione di mentire. Greene dice che eventualmente puo' essere possibile identificare le bugie osservando l'attivita' cerebrale, sebbene maggiori ricerche devono essere condotte prima che questo sia effettivamente possibile.

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/07/090713201622.htm

domenica 28 giugno 2009

Il sonno della memoria

Gli esperti hanno a lungo sospettato che i processi di passaggio delle informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine avvengano durante il sonno. Adesso gli scienziati dell'Istituto di Picower per l'apprendimento e la memoria hanno dimostrato che i topi a cui era stata impedita la ripetizione neurale delle esperienze di veglia non memorizzano queste esperienze durante il sonno come fanno i topi che hanno attiva questa funzione.
Lo studio, che ha una profonda implicazione nelle ricerche a riguardo del sonno, e' stato illustrato il 25 giugno su Neuron.
Si crede che le memorie spaziali e di eventi siano immagazzinate brevemente nell'ippocampo prima che queste vengano consolidate nella neocorteccia in modo permanente. Si suppone che l'ippocampo, che ha la forma di un cavalluccio marino, svolga un ruolo fondamentale nell'apprendimento e nella memoria, ma il preciso circuito e i meccanismi coinvolti non sono stati ancora ben compresi.
''La nostra ricerca dimostra il legame molecolare tra il sonno post-esperienze ed il consolidarsi di quelle informazioni nella memoria a lungo termine'' dice Susumu Tonegawa, Professore di Biologia e Neuroscienze al Mit ed autore dello studio.
''Il nostro e' il primo studio per dimostrare questo legame cioe' tra la ripetizione dell'informazione ed il suo consolidarsi. Il cervello durante le ore del sonno deve ripetere le esperienze come se fossero dei video clip prima che questi ricordi passino dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine.''
I ricercatori hanno osservato un circuito entro l'ippocampo conosciuto come via trisinaptica, lungo la quale le informazioni neuronali passano attraverso tre principali sottostrutture dell'ippocampo prima di andare oltre.
''Abbiamo dimostrato che questa via e' cruciale per la trasformazione delle memorie recenti, formatesi entro un giorno, in memorie a lungo termine che vengono mantenute per almeno 6 settimane dopo'', dice Tonegawa.
Attraverso le tecniche di ingegneria genetica sono stati creati dei topi in cui, un cambiamento di dieta, provoca la disattivazione del circuito trisinaptico. I ricercatori hanno utilizzato degli elettrodi per tenere monitorata l'attivita' delle cellule ippocampali degli animali mentre questi correvano nel labirinto e durante il sonno.
I topi, mentre correvano, formavano entro il loro cervello un pattern di cellule place o neuroni che aveva il compito di riconoscere i tratti del labirinto attraverso cui i topi erano gia' passati. Durante il sonno, in particolar modo durante la fase del sonno profondo (il sonno ad onde lente) le cellule formatesi durante la corsa venivano riprodotte in una seguenza simile.
Negli studi sugli esseri umani, testando il ruolo del sonno ad onde lente nel consolidamento della memoria, si e' visto che coloro che avevano fatto un pisolino dopo essersi sottoposti ad un compito di memorizzazione di coppie di parole come ''frutta-banana" e ''attrezzi-pinze'' furono maggiormente in grado di rievocare un maggior numero di coppie di parole rispetto a coloro che non avevano riposato.
Si suppone che questa ripetizione, supposta ma mai dimostrata, e' importante per la conversione delle nuove informazioni immagazzinate nell'ippocampo in memoria a lungo temine immagazzinata nella neocorteccia.
''Abbiamo dimostrato che nei topi ''mutanti'' in cui la via trisinaptica e' bloccata, questo processo di ripetizione durante il sonno ad onde medie e' impedito'' dice Tonegawa. Gli animali possono memorizzare a lungo termine il percorso del labirinto solo quando, dopo la formazione delle memorie a breve termine, la loro via trisinaptica e' attiva .
''La nostra conclusione e' che la via trisinaptica replica durante il sonno le seguenze delle memorie a breve temine che si formano nell'ippocampo; il sonno inoltre svolge un ruolo cruciale nella formazione delle memorie a lungo termine'', conclude Tonegawa.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/155293.php

martedì 14 aprile 2009

I motoneuroni si rimettono in moto

Per la prima volta, i ricercatori hanno chiaramente mostrato la rigenerazione di specifici tipi di cellule che, partendo dal cervello e attraversando la colonna vertebrale, sono artefici dei movimenti volontari. La rigenerazione di alcune regioni cerebrali danneggiate dei ratti e' stata dimostrata dai neuroscienziati dell'Universita' di San Diego. Questa ricerca e' stata pubblicata il 6 Aprile nell'edizione on line di Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
"Questa scoperta suggerisce un metodo per la rigenerazione delle fibre del sistema nervoso meglio conosciute come motoneuroni corticospinali. Il ripristino di questi assoni e' un essenziale passo per permettere ai pazienti affetti da immobilita' dovuta a lesioni del midollo spinale, il recupero dei movimenti volontari.'' dice il Dott Mark Tuszynski professore di neuroscienze e direttore del Center for Neural Repair at UC di San Diego, e neurologo.
Il tratto corticospinale e' un notevole tratto costituito da fibre nervose chiamate assoni lunghi, che va dalla corteccia cerebrale e attraversa la colonna vertebrale; invia segnali per i movimenti dal cervello ai muscoli. I movimenti volontari si verificano a seguito dell'attivazione dei motoneuroni superiori che risiedono nel lobo frontale ed estendono i loro assoni, giu' per la colonna vertebrale ai motoneuroni inferiori. I motoneuroni inferiori, a turno, inviano i loro assoni alle fibre muscolari. Nelle severe lesioni del midollo spinale, gli assoni che ''viaggiano'' lungo il tratto corticospinale, non forniscono la sinapsi ai motoneuroni inferiori che, quindi, non hanno piu' il collegamento col cervello operato proprio dai motoneuroni superiori.
''Gli studi precedenti sulle lesioni del midollo spinale hanno fornito prove della rigenerazione delle fibre nervose che producono i movimenti volontari, ma non hanno dimostrato in modo convincente la rigenerazione delle fibre del tratto corticospinale'' dice il dott. Tuszynski, ipotizzando che questo sia dovuto a intrinseche limitate capacita' dei neuroni del tratto corticospinale di accedere ai geni che permettono la rigenerazione cellulare dopo le lesioni. Egli aggiunge che, senza la rigenerazione degli assoni del tratto corticospinale, e' probabile che non sia ottenibile un recupero funzionale adeguato negli esseri umani.
Il team dell'Universita' di San Diego ha raggiunto questi risultati ad opera di operazioni di ingegneria genetica sui neuroni danneggiati, attraverso la sovra-stimolazione dei recettori selettivi per un tipo di proteina, fattore della crescita del sistema nervoso, chiamata BDNF (brain-derived neurotrophic factor). Questo fattore di crescita e' stato somministrato ai ratti con regioni cerebrali interessate da lesioni. Si e' visto che il fattore di crescita BDNF interagendo col recettore trkB, e' stato in grado di rigenerare la parte danneggiata. In assenza della sovrastimolazione del recettore non vi e' stata, invece, alcuna rigenerazione.
Sebbene il recupero funzionale negli animali non sia stato ancora valutato, lo studio dimostra per la prima volta che, la rigenerazione del sistema corticospinale che normalmemente non risponde ai trattamenti puo' essere raggiunto in regioni cerebrali lesionate.
"Il prossimo passo sara' provare il trattamento nelle regioni danneggiante del midollo spinale, utilizzando il fattore di crescita sui recettori che si trovano sugli asssoni che coprono tutto il tratto del midollo'' dice il dott. Tuszynski, aggiungendo che i ricercatori dell'Universita' di San Diego stanno gia' lavorandoci su.
''Valuteremo se la rigenerazione delle fribre nervose corticospinali determinera' il recupero funzionale e ripristinera' i movimenti volontari negli animali''.
Questo studio e' legato ad un altro condotto nei laboratori del Dott. Tuszynski, pubblicato l'8 febbraio nel numero di Nature Medicine, il quale dice che il BDNF puo' essere usato come una potenziale terapia per la riduzione delle cellule cerebrali perse nel Morbo di Alzheimer.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/145276.php
http://en.wikipedia.org/wiki/Brain-derived_neurotrophic_factor (in inglese)

domenica 12 aprile 2009

Il sonno riordina il cervello e favorisce l'apprendimento

Una nuova teoria a riguado dei benefici del sonno per il cervello, che prende le mosse dai moscerini della frutta, e' stata pubblicata su Science. I ricercatori dell'Universita' Washington di St. Louis hanno trovato le prove che il sonno, gia' riconosciuto come ricognitore e promotore della memoria a lungo termine, aiuta a mantenere pulite ''le stanze del cervello'' destinate ad ospitare le nuove informazioni apprese.
La domanda critica e':
''Come si modificano nel sonno molte cellule nervose, sinapsi o giunture che comunicano tra loro?''
I neurologi credono che la creazione di nuove sinapsi e' un mezzo chiave con cui il cervello codifica le informazioni contenute nella memoria e quelle relative al materiale appreso durante il corso della veglia, ma questo processo, ovviamente, non puo' rimanere invariato.
"Ci sono un numero di ragioni che ci spiegano perche' il cervello non puo' creare un numero indefinito di sinapsi, considerando anche il limitato spazio nel cranio" dice il Dott. Paul Shaw, autore della ricerca e assistente professore di Neurobiologia all'Universita' Washington di St. Louis. ''Siamo stati in grado di tracciare la creazione di nuove sinapsi nei moscerini della frutta durante le nuove esperienze di apprendimento, ed abbiamo visto che il sonno ne elimina un certo numero".
Gli scienziati non sanno ancora come le sinapsi vengono eliminate. Secondo la loro teoria, solo le connessioni meno importanti sono spazzate via, mentre connessioni che codificano importanti informazioni sono mantenute.
Molti aspetti del sonno dei moscerini sono simili al sonno umano; per esempio, i moscerini e gli umani deprivati del sonno di un giorno proveranno a recuperare molte delle ore perse il giorno seguente. Siccome il cervello degli esseri umani e' molto piu' complesso, il Dott. Shaw ha usato i moscerini della frutta per rispondere alle domande circa sonno e memoria.
Tutti sanno che il sonno e' promotore dell'apprendimento, ma tre anni fa il Dott. Shaw dimostro' il contrario rivelando che l'apprendimento aumenta i bisogni di sonno nei moscerini della frutta. In un numero del giornale Science del 2006 che pubblico' lo studio, il Dott. Shaw ed i suoi colleghi presentarono due separati esperimenti, ogniuno dei quali forniva al cervello del moscerino della frutta un allenamento diverso, incrementano il bisogno di sonno.
Il primo esperimento e' stato ispirato da una ricerca sugli essere umani in relazione all'arricchimento dell'ambiente sociale per migliorare memoria ed altre funzioni cerebrali. Gli scienziati hanno scoperto che i moscerini cresciuti in un ambiente sociale "allargato" (un tubo pieno di altri moscerini) dormono approssimativamente 2-3 ore di piu' dei moscerini cresciuti in solitudine.Nel secondo, i ricercatori, esposero i maschi della specie alle femmine, ma con un trucco; erano presenti sia femmine gia' accoppiate sia maschi modificati geneticamente in grado di emettere feromoni femminili. Tutte le mosche, cosi', rifiutarono i tentativi di accoppiamento delle mosche test. Le mosche test furono allora mantenute in isolamento per due giorni ed esposti anche alle femmine recettive. Le mosche test che ricordavano i precedenti fallimenti non provarono ad avvicinarsi nuovamente a quelle da cui avevano ricevuto un rifiuto; questi moscerini, inoltre avevano dormito di piu'. I ricercatori conclusero che queste mosche codificarono le momorie delle loro precedenti esperienze, e questo prova piu' direttamente il legame tra sonno e nuove memorie.
Gli scienziati rifecero questi test per uno studio nuovo, ma questa volta usarono mosche geneticamente modificate per cercare il piu' possibile di tracciare lo sviluppo delle nuove sinapsi e le giunzioni con le quali le cellule cerebrali comunicano.
''La piu' grande sorpresa fu che delle 200,000 cellule cerebrali dei moscerini della frutta solo 16 furono coinvolte nella formazione delle nuove memorie" dice il primo autore della ricerca Dott. Jeffrey Donlea. ''Questi sedici neuroni ventro-laterali, fanno parte del circuito circadiano che permette al cervello delle mosche di performare certi comportameti in paritcolari ore del giorno."
Quando i moscerini dormono, il numero di sinapsi, formatesi durante l'arricchimento sociale a cui sono stati esposti durante le ore del giorno, diminuisce. Quando i ricercatori deprivano loro del sonno, questo non avviene.
Il dott. Donlea identifico' tre geni essenziali da cui dipende il legame tra apprendimento e incremento dei bisogni di sonno. I moscerini mancanti di uno di questi geni non ebbe l'incremento dei bisogni di sonno dopo l'arricchimento sociale o dopo la prova di accoppiamento.
Uno di questi tre geni e' equivalente a quello umano conosciuto come il gene SRF. Gli scienziati hanno precedentente collegato questo gene alla plasticita' cerebrale, intesa come cambiamenti cerebrali che includono apprendimento e memoria e la generale abilita' del cervello di ricostruire le connessioni neurali per adattarsi alle lesioni o per necessita' di modificarle.
Il nuovo studio dimostra che il gene SRF potrebbe offrire un importante vantaggio agli scienziati sullo studio della plasticita' cerebrale: sfortunatamente gli altri geni connessi con la plasticita' non sono associati alla sopravvivenza delle cellule.
''Questo potrebbe essere di importante aiuto per i nostri sforzi sullo studio della plasticita' del cervello, in quanto ci porterebbe a escludere un elevato numero di fattori che potrebbero generare confusione'' dice il co-autore della ricerca Naren Ramanan, assistente professore di Neurobiologia. "Possiamo alterare l'attivita' del gene SRF e non temere se i cambiamenti delle funzioni cerebrali sono dovuti alla plasticita' neurale o alla rimozione di cellule''.
Il prof. Shaw pianifica future ricerche in merito al legame tra memoria e sonno, includendo anche studi su come, l'incremento delle sinapsi, induce maggior bisogno di sonno.
''Giusto adesso un sacco di persone sono spaventate per il loro lavoro e la loro personale economia, e alcune non hanno alcun dubbio che perderanno il sonno a causa di queste problematiche.'' dice il prof. Shaw. ''Questi risultati suggeriscono, invece, che la migliore cosa da fare e' assicurarsi di essere attenti e vigili e, per aumentare la probabilita' di mantenere il posto di lavoro, la priorita' e' concedersi le sufficienti ore di sonno.''

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/145011.php

martedì 7 aprile 2009

Una vita in fumo

La nicotina non da' solo dipendenza, ma puo' interferire e disturbare dozzine di interazioni tra cellule. Le informazioni ottenute nello studio condotto dagli scienziati della Brown University, possono aiutare a sviluppare trattamenti migliori per varie forme di malattie procurate dal fumo. Le compagnie farmaceutiche si affidano a ricerche di base per identificare nuove interazioni cellulari che possono, a seconda della patologia, essere usate come bersaglio dei potenziali nuovi farmaci.
''Questa studio ha aperto parecchie nuove strade da perseguire con la ricerca'' dice il Professor Edward Hawrot, professore di Scienze molecolari, Farmacologia, Pisiologia e Biotecnologia della Brown University.
Lo studio di Hawrot e' stato pubblicato sul Journal of Proteome Research del 3 aprile. Egli, assieme al suo team che include gli studenti William Brucker e Joao Paulo, ha provveduto a fornire informazioni preziose per superare le conoscenze di base su come la nicotina attacca i processi di comunicazione cellulare attraverso il sistema nervoso.
I ricercatori si sono basati sul recettore acetilcolinico Alpha-7 nel tessuto cerebrale dei topi. Un recettore molto simile esiste negli uomini. Il recettore Alpha-7 e' il piu' enigmatico dei cosiddetti recettori ''nicotinici''. Questi recettori sono chamati in questo modo perche' la nicotina, quando e' nel corpo, si lega ad essi. La maggior parte dei recettori si trova sulla superficie delle cellule e sono sensibili a piccoli segnali molecolari, i neurotrasmettitori, come l'acetilcolina, la quale e' il segnale naturale che viene utilizzato dalle cellule per attivare il recettore Alpa-7.
Si e' scoperto che ben altre 55 proteine differenti interagiscono col recettore nicotinico Alpha-7.
''Questo recettore e' un recettore nicotinico e pensavamo avesse una interazione solo con la nicotina. In realtra' ha moltissime funzioni nel cervello.'' dice Hawrot.
"In varie e specifiche regioni del cervello il recettore Alpha-7 puo' interagire con differenti proteine contenute nei neuroni ed agire in diversi modi''.
La proteina G alpha, e' stata una fra le piu' inaspettate proteine osservate tra quelle identificate nello studio e comunemente associate a classi di recettori completamente differenti. (L'omonima proteina-G legata ai recettori GPCR)
La scoperta e' significativa perche' la proteina G alpha e' coinvolta in molti differenti processi di comunicazione cellulare e biochimici attraverso il cervello ed il resto del corpo. Per farci un'idea dell'importanza di questa proteina dobbiamo considerare il fatto che il 40% dei farmaci che si utilizzano attualmente agiscono su una larga familia di recettori GPCR.
La nicotina puo' colpire i processi del nostro organismo e forse, interferire anche con le azioni dei farmaci che utilizziamo, in modo maggiore di quanto supposto fino ad ora.
''Il passo avanti fatto con questo studio potrebbe sortire un effetto positivo sullo sviluppo di nuovi trattamenti per combattere la dipendenza da fumo. Allo stesso tempo, la scoperta puo' anche avere implicazioni future per alcuni tipi di malattie come la Schizofrenia.'' dice Hawrot.
Recenti studi sui geni hanno suggerito che, alcuni casi di schizofrenia sono associati con delezioni a seguito delle quali blocchi di geni, incluso anche il gene dell'Alpha-7, vengono completamente rimossi e quindi risultano mancanti. Hawrot aggiunge che si ha, inoltre, la possibilita' di sviluppare nuovi trattamenti per coloro che soffrono di questo tipo di disordine, anche se si e' ben lontani dal trovare un rimedio definitivo.
Per condurre il loro studio, i ricercatori hanno utilizzato dei topi con carenza del recettore nicotinico per l'acetilcolina Alpha-7. Questi topi successivamente sono stati confrontati con quelli normali e in questo modo si sono potute evidenziare le differenze legate a quei recettori associati alle proteine studiate.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/145155.php
http://www.unisr.it/BiotechBook/view.asp?id=111

domenica 5 aprile 2009

L'intelligenza viene dallo spessore del cervello

I ricercatori dell'Istituto Neurologico di Montreal hanno trovato una correlazione significativa tra le abilita' cognitive e lo spessore della corteccia cerebrale in cervelli di soggetti compresi in una fascia di eta' che va da 6 a 18 anni. La correlazione e' maggiormente evidente nelle regioni cerebrali che integrano informazioni provenienti da diverse parti del cervello.
Lo studio e' stato pubblcato sul corrente numero di Intelligence il piu' ampio e competente giornale del settore che diffonde informazioni relative alla salute di bambini e adolescenti.
Questo studio e' un appendice di un altro precedente, che si era occupato di studiare il normale sviluppo cerebrale. Sono state utilizzate immagini ottenute con la Risonanza magnetica funzionale (fMRI) e altre informazioni sulla struttura del cervello durante lo sviluppo.
Ad intervalli regolari, bambini ed adolescenti, di eta' compresa tra 0 e 18 anni, sono stati sottoposti a tecniche di neuroimmagine ed inoltre sono stati sottoposti a test di intelligenza, neuropsicologici, verbali e non verbali e comportamentali. Le informazioni raccolte permettono di studiare come i normali cambiamenti dovuti allo sviluppo modificano l'anatomia cerebrale correlata alle abilita' motorie e comportamentali, come la coordinazione motoria e l'acquisizione del linguaggio. Possono essere valutate persino le abilita' di ordine piu' elevato come, le capacita' di previsione e pianificazione, di pensiero, il quoziente intellettivo e le capacita' organizzative.
Gli studi precedenti hanno dimostrato che l'intelligenza e le abilita' congnitive dipendono da diverse aree e strutture cerebrali. L'associazione tra lo spessore della corteccia e l'intelligenza e' stata scarsamete sudiata in passato anche perche' i campioni di soggetti utilizzati erano stati molto piccoli. Con i miglioramenti ottenuti utilizzando la fRMI si e' potuto quantificare lo spessore della corteccia cerebrale e si e' potuto utilizzare un campione piu' ampio. L'obiettivo dei ricercatori e' quello di esaminare questo legame, e piu' in la', caratterizzare ed identificare le aree cerebrali dove lo spessore della corteccia e' associata alle abilita' cognitive.
Lo spessore della corteccia puo' essere, in parte, dovuto all'accumulo di connesioni complesse tra cellule nervose. In altre parole, la corteccia piu' spessa ha piu'connessioni complesse e questo puo' avere certe conseguenze sulle abilita' cognitive. In questo senso, questo legame e' stato trovato spesso in alcune aree cerebrali come il lobo frontale, parietale, temporale e occipitale. Queste sono le regioni con il maggior numero di relazioni, dove le informazioni convergono da varie parti del cervello per essere elaborate.
''La principale scoperta di questo studio e' che l'ipotesi di un modello di intelligenza distribuita e' supportato, in quanto diverse aree del cervello sono coinvolte nelle abilita' cognitive rispetto all'ipotesi dell'esistenza di un solo centro o struttura importante, sede dell'intelligenza.'' dice il Dott. Sherif Karama, psichiatra dell'Istituto Neurologico di Montreal e co-autore dello studio. ''Gli studi precedenti hanno dimostrato una correlazione tra strutture o funzioni. Questa e' la prima volta che la correlazione tra abilita' cognitive generali e essenzialmente molte, ma non tutte, aree corticali associate e' dimostrata nello stesso studio.''
Un'analisi piu' profonda delle normali funzioni e abilita' congitive e' il primo importante passo per comprendere il declino di queste abilita' osservate durante il corso degli anni di vita, come quelle osservabili in varie patologie, dalla Sclerosi Multipla alla Schizofrenia, dalla depressione al ritardo mentale. La comprensione di questi meccanismi ci puo' consentire di adottare alcune linee di intervento che possono essere efficaci nel prevenire od alleviare il declino o le complicazioni delle funzioni cognitive.

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/03/090325132531.htm

lunedì 30 marzo 2009

Il consumo di cannabis predispone alle psicopatologie

Il consumo giornaliero di cannabis predispone alla comparsa di alcune psicopatologie come le psicosi e la schizofrenia. Queste manifestazioni patologiche, frutto di questa sostanza, presentano certe specifiche caratteristiche, entrambe prima della comparsa clinica della patologia. E' una delle conclusioni argomentate dal ricercatore Miguel Ruiz Veguilla, dell'Istituto di Neuroscienze di Granada (Spagna) nella tesi per il dottorato dal titolo ''Neurosviluppo e stress ambientale all'origine della psicosi: analisi trasversale (Neurodevelopment and environmental stress in initial psychosis: transversal analysis of the ESPIGAS study). Lo studio e' stato condotto sotto la supervisione dei Professori Manuel Gurpegui Fernàndez de Lagaria e Jorge Cervilla Ballesteros. Ruiz Veguilla inoltre e' anche responsabile dell'Unita' di Neuropsichiatria dello sviluppo di Jaén (Spagna).
La ricerca ha studiato i fattori di rischio associati alla schizofrenia, identificando e classificando in dettaglio quelle psicosi associate al continuo consumo di cannabis. Lo studio ha riguardato 92 soggetti, di cui 50 ha sviluppato una psicosi senza la presenza di pregressi segni di un anormale neurosviluppo. I 50 soggetti non avevano mostrato in precedenza difficolta' nell'apprendimento scolastico, appartenevano a gruppi di amici non isolato socialmente e presentavano una buona cordinazione motoria. In aggiunta, non avevano avuto storie familiari caratterizzate da episodi di psicosi.
Si e' giunti a identificare una connessione tra il consumo della sostanza e le psicosi di questi individui, sebbene, prima della comparsa dei sintomi della patologia, il gruppo aveva fatto registrare buone prestazioni e capacita' senza, peraltro, nemmeno la presenza di segni di minori alterazioni neurologiche. Questo, secondo i ricercatori, potrebbe indicare ''una via psicopatologica che sfocia nella psicosi in soggetti con una minore predisposizione alla patologia''.
Il 66% dei pazienti affetti da psicosi che ha partecipato allo studio e che ha avuto un normale neurosviluppo, ha ammesso di aver assunto cannabis giornalmente o quasi tutti i giorni, mentre il 43 % dei partecipanti con un neurosviluppo alterato ha consumato ugualmente questa droga. (gli individui in questione, sono soggetti con cattive performance nell'apprendimento scolastico, con inopportuni comportamenti sociali, maldestrezza nelle attivita' di coordiazione motoria e con una storia familiare che comprende soggetti precedentemente affetti da psicopatologia.)
Alla luce dei risultati della sua tesi, il dott. Miguel Ruiz Veguilla dice che, dopo aver identificato i tipi di psicosi legati a fattori ambientali determinanti, si dovrebbe essere in grado di conoscere la prognosi nel lungo periodo per questo gruppo che, come abbiamo visto, ha mostrato comportamenti idonei (ricordamo le buone performance) prima che il consumo di cannabis ne determinasse la psicopatologia.
I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati dai giornali ''Schizophrenia Research" e "European Psychiatry'', due dei piu' famosi al mondo nel settore, per la pubblicazione di ricerche in ambito scientifico.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/143757.php

mercoledì 25 marzo 2009

Intelligenza, geni e mielina

Si dice che una foto puo' raccontare mille storie, ma puo' anche dirci quanto siamo intelligenti? Pare proprio di si!
I ricercatori dell'Universita' di Los Angeles (UCLA), usando un nuovo tipo di tecnica per la produzione di immagini del cervello, hanno dimostrato che l'intelligenza e' strettamente influenzata dalla qualita' della lunghezza degli assoni o dal circuito neurale che invia gli impulsi elettrici attraverso il cervello. Questo studio e' stato condotto dal neurologo Paul Thompson e dai suoi colleghi ed e' stato pubblicato sul numero di febbraio di Journal of Neuroscience. Piu' veloce, quindi, e' il segnale inviato dai neuroni e piu' velocemente l'informazione viene elaborata dal cervello. Inoltre, fino a quando l'integrita' del sistema nervoso e' influenzata da fattori genetici, questa influenza gioca un ruolo ancora piu' importante sui processi intellettivi, piu' di quanto si era supposto fino ad ora.
Sembra che i geni abbiano un'influenza sull'intelligenza attraverso la modulazione del processo di mielinizzazione degli assoni - la guaina che riveste gli assoni e permette una trasmissione piu' veloce dell'impulso elettrico. Piu' spessa e' la guaina mielinica e maggiore sara' la velocita' dell'impulso nervoso trasmesso dagli assoni.
Thompson e colleghi hanno analizzato l'attivita' cerebrale di 23 gemelli identici e 23 gemelli dizigoti. Dato che gemelli omozigoti posseggono gli stessi geni, mentre i gemelli dizigoti ne posseggono la meta', i ricercatori hanno utilizzato questo fattore per dimostrare che l'integrita' della mielina geneticamente distribuita in molte parti del cervello rappresenta la chiave dell'intelligenza. Le parti del cervello prese in considerazione sono il lobo parietale, deteminante per il ragionamento spaziale, logica e l'analisi dell'informazione visiva, ed il corpo calloso, il quale consente la comunicazioni tra i due lobi del cervello.
I ricercatori hanno usato uno strumento che prende il nome di HARDI (High-Angular Resolution Diffusion Imaging), una versione piu' potente della risonanza magnetica funzionale (fRMI) che riproduce in vivo le immagini di tessuti biologici. Questa tecnica, infatti, permette di avere immagini del cervello molto piu' ad alta risoluzione rispetto alla fRMI. Mentre la risonanza magnetica ci mostra il volume delle differenti aree del cervello attraverso la misurazione della concentrazione di acqua presente, l'HARDI segue la diffusione dell'acqua attraverso la materia bianca - un metodo che misura, quindi, la qualita' della sua mielina.
''L'HARDI misura la diffusione dell'acqua'' dice Thompson che e' anche membro del laboratorio di analisi dell' Universita'. ''Se l'acqua si diffonde rapidamente in una direzione, questo ci dice che il cervello ha delle connessioni molto rapide. Se, invece, l'acqua si diffonde lentamente, significa che le connessioni sono piu' lente e questo e' un sinonimo di minore intelligenza''.
''Questa tecnica ci consente di avere una misura della volocita' del cervello'', aggiunge.
Siccome la mielinizzazione dei circuiti cerebrali segue una traiettoria invertita ad U, avendo un picco nella mezza eta' per poi diventare piu' lenta e cominciando a declinare, Thompson crede che l'identificazione dei geni che promuovono l'alta integrita' della mielina rappresenti un passo decisivo per la prevenzione di malattie come la sclerosi multipla o l'autismo che sono legate proprio alla mancanza di mielina.
''Lo scopo dello studio e' quello di riuscire ad avere un'intuizione o un'idea da sviluppare in merito alle malattie del cervello'' dice Thompson.
Egli dice che il suo team ha gia' identificato uno stretto numero di geni che possono influenzare l'integrita' e la crescita della mielina.
Un giorno potrebbe essere trovata una terapia in grado di rendere piu' grande e piu' efficiente, la nostra intelligenza?
''Anche se davanti abbiamo una lunga strada questo e' sicuramente possibile'' conclude Thompson.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/142759.php
http://medgadget.com/archives/2009/03/hardi_scanner_says_intelligence_is_inherited.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Formazioni_commissurali_interemisferiche
http://it.wikipedia.org/wiki/Telencefalo
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/La_materia_bianca_del_cervello/1328625

venerdì 20 marzo 2009

Il cervello batte lo stesso tempo

Quando i musicisti suonano insieme, non solo i loro strumenti seguono lo stesso tempo, ma anche i loro cervelli. Uno studio pubblicato dal giornale on-line BMC Neuroscience, mostra che le onde cerebrali dei chitarristi che suonano insieme sono sincronizzate. Questa scoperta e' importante perche' ci spiega come il cervello interagisce quando si suona in gruppo.
Ulman Lindenberger, Viktor Müller, e Shu-Chen Li del Max Planck Institute for Human Development di Berlino con Walter Gruber dell'Universita' di Salinsburgo, utilizzando l'elettroenefalogramma (EEG) hanno registrato l'attivita' neurale del cervello di 8 coppie di chitarristi. Ogni coppia ha suonato un pezzo Jazz 60 volte, mentre veniva registrata l'attivita' cerebrale attraverso gli elettrodi posti sul loro cranio.
La similitudine delle onde cerebrali dei cervelli di entrambi i musicisti, sono incrementate in modo significativo proprio durante l'esecuzione del pezzo. In primo luogo questa sincronizzazione si e' notata gia' nella fase preparatoria, quando un metronomo batteva il tempo ed, in secondo luogo, quando i musicisti hanno cominciato a suonare insieme. (guarda)
Le regioni frontali e centrali del cervello hanno fatto registrare una sincronizzazione maggiore cosi' come si aspettavano i ricercatori. Le regioni temporali e parietali, comunque, mostrano una alta sincronizzazione in almeno meta' delle coppie di chitarristi. Queste regioni possono essere coinvolte nei processi di supporto alle azioni coordinate dei musicisti, o nell'ascolto della musica.
''La ricerca dimostra che le azioni interpersonali cooordinate sono precedute ed accompagnate da un accoppiamento oscillatorio delle onde dei due cervelli'' dice Ulman Lindenberger. La ricerca pero' non dimostra se questo accoppiamento in risposta al ritmo del metronomo e della musica, sia il risultato della visione dei reciproci movimenti e dell'ascolto della reciproca musica, o il risultato della sincronizzazione dell'attivita' cerebrale che si attiva prima e determina quindi la coordinazione della performance. Sebbene la sincronizzazione del cervello dei musicisti nei confronti della musica sia stata osservata precedentemente, questa e' la prima volta che questi musicisti sono stati sottoposti a questo tipo di misurazione insieme.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/142575.php
Per vedere l'inero articolo (inglese): http://www.biomedcentral.com/bmcneurosci/

mercoledì 4 marzo 2009

Il sesso risiede nel cervello

Una recente ricerca ha dimostrato che sono piu' del 40% le donne di eta' compresa tra i 19 e 59 anni che accusano disfunzioni sessuali, mancanza di interesse sessuale, disordini legati ad un ipoattivo desiderio sessuale. Un team interdisciplinare della Facolta' di medicina dell'Universita' di Stanford si e' occupato di raccogliere delle evidenze oggettive per verificare la validita' di tale riscontro.
La ricerca e' stata condotta dal Professor Bruce Arnow professore di psichiatria e scienze del comportamento, e Leah Millheiser, MD, professore assistente di ostetricia e ginecologia e direttore del Female Sexual Medicine Program allo Stanford Hospital & Clinics.
La domanda a cui hanno voluto dare una risposta e': quale ruolo gioca il cervello nella mancanza di desiderio sessuale?
Il background e' stato quello relativo agli studi fatti sulle disfunzioni sessuali degli uomini che si sono largamente basati sulla fisiologia del corpo piuttosto che del cervello. Nelle donne invece il cervello puo' giocare un ruolo importante rispetto agli organi periferici.
Lo studio prevedeva in primo luogo il confronto dei pattern di attivazione sessuale del cervello delle donne con disfunzioni rispetto a quelle senza.
L'esperimento consisteva nella presentazione di segmenti di video erotici intervallati da immagini di eventi sportivi femminili. Questi spezzoni erano separati da tranquille immagini, come fiori, montagne o suoni dell'oceano per riportare il cervello delle donne ad uno stato di tranquillita' dopo la stimolazione dovuta alle immagini. L'attivita' cerebrale dei soggetti era costantemente monitorata attraverso la risonanza magnetica RMI che permetteva di osservare l'attivita' delle varie regioni del cervello in tempo reale. Le donne inoltre riferivano ai ricercatori il loro soggettivo stato di eccitazione sessuale a seguito della visione, mentre questi, allo stesso tempo, raccoglievano misurazioni oggettive della suddetta eccitazione.
I risultati hanno dimostrato che l'attivazione delle aree cerebrali e' piu' o meno la stessa, sia nel gruppo sperimentale sia in quello di controllo, con poche ma rilevanti eccezioni. La piu' grande differenza che si e' notata e' stata quella relativa a tre aree del cervello delle donne con disfunzioni sessuali -il giro frontomediale, il giro frontale inferiore destro, telencefalo- quando sono state mostrate le immagini erotiche. In un altra area del cervello -la corteccia entorinale bilaterale- si sono invece osservati effetti opposti. La ricerca, quindi, ha dimostrato che ci sono specifiche aree del cervello delle donne con disfunzioni dove l'attivita' e' alterata rispetto alle donne senza questo tipo di disordine.
Due delle aree cerebrali dove si e' registrata una maggiore attivita' nelle donne con disordini sessuali, il giro frontomediale ed il giro frontale inferiore destro, sono state associate rispettivamente, l'una ad una maggiore attenzione ai propri ed altrui stati mentali e l'altra ad una soppressione della risposta emotiva. La ricerca suggerisce che una maggire attenzione alle proprie risposte alle immagini erotiche gioca un ruolo fondamentale nelle disfunzioni sessuali. L'attivazione della corteccia entorinale osservata nei soggetti di controllo rispetto ai soggetti con disordini sessuali altresi' puo' essere correlata a migliorate abilita' nel riuscire a stabilire ricordi emozionali relativi ad eventi sessuali.
Attenzione pero'. Una correlazione non e' un effetto. Le ricerche infatti potrebbero dimostrare come una troppa attenzione potrebbe provocare l'inibizione del desiderio sessuale o come il calo del desiderio sessuale a causa di situazioni frustranti determini un aumento di autocoscienza.
''I risultati di questi studi ci consentono di avere altri importanti strumenti per capire la complessita' delle funzioni femminili come quelle legate al desiderio.'' dice Millheieser. ''Il prossimo passo sara' quello di tradurre queste informazioni nella pratica clinica soprattutto per quanto riguarda l'approccio cognitivo e farmacoterapeutico.''

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/140962.php
http://it.wikipedia.org/wiki/Corteccia_entorinale
http://lab4.psico.unimib.it/webhomes/paulesu.eraldo/soluzioni_quiz.htm

I risultati sono apparsi il 23 gennaio sul giornale Neuroscienze

lunedì 2 marzo 2009

Come funziona il baclofene?

Gli esperti adesso hanno riconosciuto valide le ipotesi del Dr Oliver Ameisen relative al fatto che l'alcolismo e' legato ad una deficienza del GHB (Gamma-idrossibutirrato) che e' descritto come il valium naturale del cervello.
Questo naturale tranquillizzante ci aiuta a rilassarci ed ha alcuni effetti positivi su ansieta', tensione muscolare, insonnia e depressione.
In accordo con questo, le persone che hanno una deficenza del GHB a causa del consumo di alcool e varie droghe, progressivamente diventano dipendenti.
Il GABA agische attraverso 2 recettori, il GABA A ed il GABA B. Quando le persono bevono, l'alcool andra' ad occupare il recettore del GABA A attivandolo e generando gli effetti rilassanti relativi. Quando poi si smette di bere si percepisce nuovamente un senso di ansieta'.
Se si assume il baclofene invece, esso stimola il recettore del GABA B come fa in modo selettivo solo il GHB diversamente da come avviene per il GABA A. Questo suggerisce che i vari principi attivi contenuti nei farmaci, droghe, alcool, andranno ad attivare solo il GABA A ma sembra che la via per fermare la dipendenza da alcool si trova col recettore B.

Fonte: Metro del 2 marzo 2009 pag 18

domenica 1 marzo 2009

Lo stess del bambino e' ereditato dai genitori?

Alcuni bambini rimangono calmi quando qualcosa cambia nella loro vita o nel loro ambiente, ci sono invece altri che diventano difficili e si agitano e persino deviano leggermente dalla norma. I ricercatori non sanno ancora spiegarsi se certi bambini sono maggiormente capaci di far fronte allo stress oppure la reazione a simili situazioni e' influenzata dai genitori e/o geni.
In relazione agli ultimi recenti studi, questa capacita' e' determinata da entrambi i fattori.
Chati Propper, un psicologa dello sviluppo dell'Universita' di Chapel Hill della Carolina del Nord, ed i suoi colleghi hanno studiato 142 bambini durante il loro primo anno di vita, generando stress nei piccoli attraverso l'allontanamento dalla propria madre.
Usando l'elettrocardiogramma, i ricercatori hanno captato il tono del nervo vago del bambino, che dimostra quanto forte il nervo vago sopprime la frequenza cardiaca. Il nervo vago va dal cervello fino ai piu' importanti organi del corpo. Durante le situazioni di stress, la diminuzione del tono del nervo vago, permette l'incremento del battito cardiaco e permette che il bambino controlli lo stress. Alcuni di questi bambini, pero', non mostra una diminuzione del tono del nervo vago durante i periodi stressanti; i recercatori hanno scoperto che questi bambini, a cui manca una effettiva risposta allo stress all'eta' di tre e sei mesi presentano una particolare variante del gene DRD2 che regola il recettore del neurotrasmettitore dopamina.
Questo effetto e' stato associato ad un decremento dei recettori della dopamina nel cervello che e' collegato con il comportamento nelle situazioni di rischio, come per esempio negli adulti sono i giochi d'azzardo.
Nello studio e' emerso che i bambini che hanno differenti versioni di questo gene, hanno anche differenti e tipiche reazioni allo stress.
Il ruolo di questo gene, pero', non e' la sola determinante.
I ricercatori hanno anche valutato lo stile dei genitori di questi bambini, in particolar modo della madre. ''L'esposizione continua alle cure materne sembra contrastarne gli effetti'' rispetto all'effetto piu' rischioso dovuto all'influenza della variante del gene, dice il dott. Propper. I bambini di 12 mesi che hanno la variante diversa del gene e i cui bisongni sono stati puntualmente soddisfatti dalla madre mostrano delle reazioni allo stress perfettamente identiche agli altri.

Fonti:
http://uncnews.unc.edu/news/health-and-medicine/unc-study-parenting-can-override-effect-of-genes-in-how-babies-respond-to-stress.html
http://www.sciam.com/article.cfm?id=is-babys-stress-inherited

domenica 22 febbraio 2009

L'origine del cervello suicida

La frequenza dei suicidi in Italia e' stata in crescita dal 1965 al 1986, ed ad oggi e' piuttosto stabile. Il tasso di suicidi negli Stati Uniti, invece ha avuto un'impennata nell'ultimo decennio, come mostra un rapporto pubblicato in Ottobre dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. Resta da chiedersi, che tipo di persone si suicidano? Tre nuovi studi dimostrano che i cambiamenti nerurologici dei soggetti vittime di un suicidio differiscono notevolmente da quelli presenti in altri cervelli ed inoltre questi cambiamenti si sviluppano nel corso della vita.
La maggior parte dei casi di suicidio e' dovuta a depressione che affligge i due terzi degli individui vittime di questo comportamento. Uno studio effettuato in Canada ha mostrato come nel cervello dei depressi vi e' un abnorme distribuzione del recettore del GABA, uno dei piu' abbondandi neurotrasmettitori nel cervello. Il ruolo del GABA e' quello di inibire l'attivita' cerebrale. Una ricerca ha rivelato che questi recettori sono presenti in misura minore nella corteccia frontale di soggetti depressi che si sono suicidati rispetto a coloro che sono morti per altre cause. La corteccia frontale, infatti, e' coinvolta nelle alte attivita' di pensiero e nella presa di decisione. Gli scienziati non sanno ancora come questa abnormalita' sia influente sul tipo di maggiore depressione che porta al suicidio del paziente, ma sicuramente qualsiasi agente che disturba questo sistema determinerebbe questi risultati.
La cosa piu' sorprende e' che i disturbi legati al recettore GABA non sono il risultato di una mutazione genetica. Questo cambiamento e' epigenetico, e questo significa che e' dovuto all'effetto di fattori ambientali.
E' stato scoperto che nella corteccia frontale dei suicidi spesso si e' trovata una molecola chiamata Metyl group attaccata al gene del GABA-A. Quando il Metyl group e' attaccato ad un gene, questo impedisce che quel gene venga utlilizzato nella costruzione delle proteine, ed in questo caso impedisce che venga prodotto il recettore del GABA-A.
Si sa poco sulle cause della diffusione del Metyl group nel cervello, ma uno studio suggerisce che potrebbe essere dovuto ad abusi durante l'infanzia.
A maggio i ricercatori della McGill University hanno dimostrato come la maggiror presenza dei geni impegnati nella costituzione delle proteine e legati al Metyl group si trovavano nell'ippocampo (la regione del cervello coinvolta nella memoria a breve termine e nelle abilita' spaziali) dei suicidi a seguito di depressione che avevano subito abusi, piuttosto che nel cervello di coloro che non erano vittime di suicidi e che non avevano subito abusi.
Ancora una volta i ricercatori, pero', non sanno come le difficolta' di costituzione delle proteine porti alla depressione ed al suicidio.
Una ipotesi e' che, se si hanno limiti e difficolta' nella sintesi delle proteine nel cervello, si e' deprivati di connessioni sinaptiche critiche o connessioni con neuroni che potrebbero essere coinvolti negli stati emotivi positivi come l'allegria, la felicita', l'appagamento.
I ricercatori sostengono che gli eventi sociali nelle piu' tenere eta' della vita sono la causa di quei cambiamenti epigenetici del cervello. Analizzando infatti il cervello dei suicidi che avevano subito abusi e quelli che non avevano subito abusi, si e' potuto riscontrare un differente pattern di Metyl group presente.
Persino nell'utero materno le influenze epigenetiche cambiano i programmi di sviluppo del cervello incrementando poi il rischio di suicidi. A febbraio del 2008 uno studio ha dimostrato che i bambini nati sia bassi (corti) sia con meno peso, sono stati quelli che da aduti sono rimasti vittime di violenti suicidi rispetto ai bambini nati piu' lunghi e con giusto peso. In modo simile i bambini nati prematuri sono 4 volte piu' esposti al rischio suicidio rispetto a quelli nati entro i termini previsti.
Le ricerche pubblicate nel Journal of Epidemiology and Community Health dicono che la serotonina che e' coinvolta nello sviluppo e crescita del cervello del feto puo' giocare un ruolo fondamentale. Un ventre materno come ambiente stressante e deprivato puo' interferire con lo sviluppo del feto e con il suo sistema serotoninergico.
Inoltre, le ricerche hanno dimostrato che le persone che esibiscono ed adottano un comportamento suicida hanno una ridotta attivita' serotoninergica.
In fine, queste richerche mostrano che i cervelli dei suicidi differiscono molto dagli altri cervelli per varie ragioni.
''In altre parole''-dice Poulter ''siamo d'accordo sul fatto che il fenomeno e' duvuto ad una sorta di squilibrio biologico, non e' una questione di attitudine''.
Siccome, inoltre i cambiamenti epigenetici avvengono nelle primimissime fasi della vita dell'individuo, sara' un giorno possibile identificare giovani soggetti a rischio di suicidio analizzando il loro pattern di Metyl Group presenti e quindi curarli con farmaci che regolano questo meccanismo.

Fonti:
http://www.occhioclinico.it/occhio/2004/9/articolo.php?id=art_04 Introduzione
http://www.sciam.com/article.cfm?id=the-origins-of-suicidal-brains


mercoledì 18 febbraio 2009

Henry Gustav Molaison

Se fossimo in un romanzo, tutto comincerebbe con una strada assolata di una ridente cittadina degli Stati Uniti. Tra la quiete delle case silenziose, immerse nei piu' verdognoli giardini di primavera, in fondo alla strada vedremmo comparire come un fantasma, la sagoma amorfa di una bici. Un bambino grazioso, con il sorriso sulle labbra e le gocce di sudore a fare capolino sulla fronte, si avvicina piano strimpellando furiosamente il campanello sulla parte destra del manubrio. Eccolo. Sempre piu' vicino. Un dosso lungo la strada. Giu'. Scompare per un istante e poi nuovamente su. Ancora piu' vicino. Sempre piu' chiaro e definito.
Un furgoncino bianco si affaccia sulla sua stessa corsia. E' piu' veloce. Giu' anche lui. Su. Si sposta sulla corsia a fianco. L'autista lo affianca piano. Si conoscono. Un colpo di clacson e via: quella mattina c'e' molto latte da consegnare. Tornato sulla corsia precedente, passa anche davanti a noi, scompigliandoci i capelli e muovendo le cime degli alberi prima che la quiete maestosa torni di nuovo a regnare. Il piccolo seguendo la scia, pedala piu' forte, come in una gara ad armi impari dove il destino non ha bisogno di scegliere chi dovra' vincere la competizione mettendoci lo zampino. Il brusio della catena sulla ruota dentata e sempre piu' simile al sibilo dei tric tric di legno che usavamo da piccoli per far rumore giocando nel prato. Cresce in modo proporzionale, fino a raggiungere forte il nostro udito sensibile. Il bimbo con il viso rosso, le vene del collo ingrossate e la pelle tesa, con una serie di strimpellate isteriche col campanello ci supera ma non si gira verso di noi. Con il suo brusio imperterrito, man mano meno intenso, segue con gli occhi sbarrati il retro di quel furgoncino che assicura a catatteri arcobaleno ''Daily Fresh Milk''. All'orizzonte, in rapida successione, entrambi scompaiono per sempre.
Se fosse una storia a lieto fine, probabilmente quel bambino sarebbe libero e felice e forse noi non ne staremmo descrivendone la sua vicenda. Forse dalla sua ottica, questa storia, la sua storia, in un certo modo un lieto fine l'ha avuto.
Henry Gustav Molaison era conosciuto da tutti come H.M. Era nato il 29 febbraio del 1926. All'eta' di 9 anni pero', la sua vita, serena fino a quel momento, cambia in modo impovviso e per sempre. Aveva 9 anni, quando a seguito di una caduta dalla bici, conobbe un doloroso e sempre piu' invadente male oscuro: l'epilessia.
Gli attacchi epilettici divennero sempre piu' frequenti e intensi, ma il disturbo non poteva esssere trattato con i comuni farmaci esistenti a quel tempo. Fu cosi' che al paziente, H.M. venne proposta una terapia risolutiva che avrebbe risolto per sempre il suo problema.
Il dott. Skoville che l'aveva in cura, riusci' in modo esatto ad identificare il punto preciso del cervello del paziente da cui scaturivano le crisi e gli propose di sottoporsi ad un trattamento chirurgico sperimentale che prende il nome di ablazione.
Con questo intervento il dott. Skoville assistito dal suo team, asporto' dal cervello del paziente la parte del tessuto cerebrale che aveva identificato come causa diretta dell'origine del disturbo epilettico.
Era il 1953 ed H.M. aveva solo 27 anni.

Le zone del cervello rimosse furono i lobi temporali mediali di entrambi gli emisferi e compresero una serie di strutture tra cui l'ippocampo, l'amigdala, il giro ippocampale.


L'intervento riusci' perfettamente. Dopo l'operazione le crisi epilettiche si ridussero in modo drastico, ma non ci volle molto a capire quali disturbi collaterali furono stati provocati.
Furono proprio questi effetti che hanno reso Molaison ''famoso'' in tutto il mondo scientifico e non solo, tanto che, per proteggerlo, il suo nome non venne mai rivelato e fu appunto utilizzato l'acronimo H.M.
Il paziente presento' fin da subito una profonda amnesia anterograda.
L'amnesia anterograda e' l'incapacita' di apprendere e memorizzare materiale nuovo e si contrappone all'amnesia retrograda che riguarda il materiale appreso in sessioni precedenti e che non si riesce a rievocare coscientemente.
A seguito della rimozione di queste strutture la scienza a fatto passi da gigante scoprendo i processi di memoria e le aree cerebrali deputate all'immagazinamento e alla rievocazione delle informazione apprese.
Secondo il modello di Atkinson e Shiffrin infatti, dobbiamo vedere la nostra memoria come un insieme di strutture e funzioni organizzate in modo tale che ognuna di essa abbia un proprio specifico ruolo in questo processo, contrariamente alle teorie precedenti che vedevano la memoria come un sistema unico.
La memoria sensoriale e' quel particolare tipo di memoria che dura solo pochissimi secondi e mantiene molte delle caratteristiche dello stimolo. Memorizza inforamzioni sensoriali.
La memoria a breve termine ritiene l'informazione da pochi secondi a pochi minuti, un po' come se cercassimo di ricordare un numero di telefono e a ripeterlo nella mente fino a riuscire a comporlo sulla tastiera del telefono.
La memoria a lungo termine consente di ritenere l'informazione da alcuni minuti a tutta la vita. Questo e' il livello piu' profondo di memoria in cui l'informazione perde molti dei caratteri dello stimolo e viene immagazzinata come un ricordo a caratteristiche piu' sfumate. Il passaggio dell'informazione dalla MBT alla MLT avvine grazie alla ripetizione attraverso un processo di consolidamento. Se continuiamo a ripetere quel numero di telefono, per esempio, dopo una serie di ripetizioni siamo in grado di ricordarlo anche a distanza di qualche giorno.
Distinguiamo inoltre nella MLT, la memoria implicita e la memoria espilicita.
La memoria implicita contiene informazioni che di solito vengono rievocate senza l'ausilio della nostra coscienza. Viene chiamata anche memoria procedurale. Quando ci mettiamo al volante sappiamo benissimo cosa fare, senza sforzarci di ricordare le esatte seguenze per far muovere l'auto e guidare nel traffico urbano.
La memoria esplicita o memoria dichiarativa, invece, contiene tutte quelle informazioni che devono essere rievocate con uno sforzo attentivo. Fanno parte di questo insieme, la memoria semantica ed episodica.
La memoria episodica contiene ricordi di eventi passati. L'attentato alle Torri gemelle o la finale di coppa del mondo tra Italia e Francia per esempio. Appartiene a questo insieme la memoria autobiografica che contiene ricordi circa la nostra vita.
La memoria semantica invece contiene informazioni apprese al di fuori di specifici contesti, come le formule matematiche ed il lessico della nostra lingua.
In H.M. i disturbi riguardarono sia la memoria episodica sia quella semantica.
Il paziente non ricordava eventi specifici, fatti e persone conosciute dopo l'intervento per cui Brenda Miller ogni volta che lo incontrava era costretta a ripresentarsi a lui. Se gli veniva chiesto di fare qualcosa e nel frattempo qualcuno interrompeva il colloquio, a seguito della distrazione, H.M. non solo dimenticava che cosa doveva fare, ma dimenticava persino che gli era stato chiesto.
Rimase tuttavia intatta la MBT e la memoria procedurale.
Una sorprendente scoperta fu fatta analizzando il secondo tipo di memoria.
Si noto' a seguito di studio della dott.ssa Miller, che il paziente era capace di apprendere nuove abilita' senza conservare il ricordo delle sessioni di apprendimento.
Lo studio prevedeva la riproduzione di una figura o il tracciare una linea tra diverse figure guardando la propria mano riflessa nello specchio. Come si ebbe modo di appurare, la qualita' del disegno e del tracciato migliorarono di sessione in sessione senza tuttavia che l'autore del disegno (il paziente) ricordasse i giorni in cui si era 'allenato'.
Nei test di giudizi di familiarita' era in grado di riconoscere volti ripresi in fotografie sottopostegli durente le sessioni, tuttavia durante gli incontri successivi non riusciva a ricordare il momento o luogo in cui aveva visto quella gente. Questo dimostrava che i centri per la codifica e riconoscimento delle caratteristiche dei volti siti in altre zone del cervello ritenevano l'informazione. Le aree della corteccia peririnale ventrale di entrambi gli emisferi infatti non furono rimosse, per cui il paziente riteneva l'immagine del volto in memoria e lo riconosceva in seguito.
Un'altro effetto appurato da test specifici riguardava l'abilita' di disegnare la piantina della propria casa (memoria topografica). Questo era sorprendente in quanto H.M. si era trasferito qualche tempo dopo l'intervento in quella residenza. Non riusci' mai, tuttavia, a disegnare la piantina del laboratorio, con tutta probabilita', questa carenza era dovuta al fatto di non essere stato cosi' a lungo in quei luoghi come lo era stato a casa.
Le residue capacita' di memoria visuospaziale erano dunque dovute alla parziale integrita' del giro ippocampale.
In ultima analisi egli non era in grado di consolidare nuove informazioni, ma poteva benissimo ricordare gli episodi dell'infanzia, i suoi genitori e le gli episodi della sua vita fino a tre anni prima dell'operazione. Era stato colpito infatti anche da una parziale amnesia retrograda.
La sua personalita' non era stata alterata, nei test di intelligenza e nelle capacita' linguistiche si mostro' normale. Dai racconti della Corkin, che si e' occupata di lui durante la sua vita, ne viene fuori un profilo di persona normale, autocritica, a tratti divertente.
Quando la Corkin gli chiese quale strategia utilizzasse per cercare di ricordare egli ridendo rispose che non lo sapeva perche' semplicemente l'aveva dimenticata.
Era appassionato delle parole crociate, riteneva che quest'attivita' gli sarebbe stata utile per ricodare i termini.
Non riusci' mai ad imparare la strada di casa da quando si trasferi' nella nuova.
Sottostimava la sua eta'.
Quando gli venne mostrata una foto di lui accanto a sua madre, riconobbe la donna e disse che l'uomo che le era accanto assomigliava al padre, ma che non poteva essere lui perche' qull'uomo portava gli occhiali!!!!
Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita in una casa di cura, del tutto incosapevole della sua fama e dell'immenso contributo fornito alla scienza.
Il 02 dicembre 2008 ci ha lasciati, proprio come ha fatto quel bambino che, sfrecciando sui pedali, si e' inabbissato dietro qull'orizzonte inseguendo le parole ''Daily Fresh Milk".
Il giorno stesso squilla un cellulare che attendeva quella notizia. Il possessore parte prendendo il primo aereo utile per essere presente all'esame autoptico che verra' fatto il giorno dopo.
Il primo intervento prevede le rilevazione di immagini del cervello di H.M. in situ ad una risoluzione maggiore dei soliti test convenvenzionali per ottenere delle immagini piu' dettagliate possibili. In seguito il cervello viene rimosso ed ufficialmete affidato a lui, un italiano, il dott. Jacopo Annese direttore del Brain Observatory dell'Universita' della California.
Il progetto finanziato dal National Science F0undation e dal Dana Foundation di New York, in partenza per febbraio, prevede che il cervello di H.M. venga analizzato, sezionato, catalogato e preservato e messo a disposizione di tutti gli scienziati del mondo che vorranno studiarlo. Si procedera' con una processo di fissazione e crioprotezione e successivamente sara' congelato e sezionato con un grosso microtomo, lo strumento che si usa per sezionare un tessuto, ottenendo in questo modo delle fettine sottili adatte all'esprlorazione ed analisi con un microscopio elettronico.
Il risultato finale sara' la creazione di un atlante completo del cervello di questo straordinario uomo che con la sua, forse, sfortunata vita, in modo del tutto inconsapevole ha permesso alla scienza di fare enormi passi avanti nella comprensione dei processi di memoria, apprendimento e identita'.

Fonti:

http://www.nature.com/nrn/journal/v3/n2/full/nrn726.html

http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/08_dicembre_12/cervello_HM_Annese_iacopogori_38d1b1fe-c848-11dd-a869-00144f02aabc.shtml

Risonanza magnetica completa:
http://www.nature.com/nrn/journal/v3/n2/fig_tab/nrn726_F1.html



martedì 17 febbraio 2009

Gelosia. Il mostro dall'occhio verde vive dentro di noi

C'e' un mostro che vive dentro il nostro cervello - quello dall'occhio verde - appunto.
Gli scienziati hanno trovato l'area del cervello che e' responsabile della gelosia. Quest'area e' la stessa che e' deputata al controllo del dolore fisico e questo spiegherebbe perche' e' cosi' spiacevole e penosa quella sensazione percepita quando la persona amata manifesta interesse a chi e' attorno a noi, ma allo stesso tempo non siamo noi.
''E' interessante notare che questa parte del cervello e' anche associata al 'dolore' mentale'' dice il dott. Hidehiko Takahashi che ha condotto le ricerche.
''La corretta valutazione di questi sentimenti di gelosia potra' essere utile nel supporto psicologico ai pazienti in sede di consulenza.'',dice.
L'area in questione, che tra l'altro e' responsabile di quel particolare piacere che gli uomini provano nell'osservare le sfortune altrui, e' stata localizzata da un team di ricercatori giapponesi.
Nello stesso tempo in cui 19 studenti stavano parlando del loro maggiore rivale di successo, l'attivita' del loro cervello era monitorata attraverso la RMI (risonanza magnetica). Le immagini hanno mostrato, che nella maggior parte di loro, l'attivita' del lobo frontale era maggiore in special modo quando questi si sentivano gelosi dei loro 'avversari'.
Gli e' stato, inolte, chiesto di leggere una storia in cui i loro rivali invece, soffrono per le piu' disparate disgrazie tra cui e' stato compreso anche un avvelenamento.
Le immagini della risonanza hanno mostrato che le disavventure dei rivali hanno suscitato una 'reazione di ricompensa e soddisfacimento' incrementanto l'attivita' di un'area del cervello che normalmente si attiva quando riceviamo un riconoscimento sociale o un'inaspettata entrata finanziaria.
''Addesso abbiamo una migliore conprensione dei meccanismi che entrano in azione quando le persone traggono piacere dalle disgrazie altrui'', aggiunge infine il dott. Takahashi.
Fonte: Metro del 17 febbraio 2009 pag. 13