martedì 8 dicembre 2009

Gli antidepressivi provocano cambiamenti di personalita'

Secondo un rapporto pubblicato nel numero di dicembre di Archives of General Psychiatry le persone che assumo farmaci per il trattamento della depressione potrebbero soffrire di cambiamenti di personalita' separati ed indipendenti dall'alleviamento avvertito dei sintomi depressivi.
Secondo informazioni contenute in background nell'articolo e' spiegato che i due tratti della personalita', nevroticismo ed estroversione, sono stati correlati al rischio di depressione. Gli individui nevrotici tendono ad avvertire emozioni negative e di instabilita' emotiva, mentre l'estroversione non si riferisce solo ai comportamenti sociali in uscita, ma anche alla dominanza e alla tendenza a provare emozioni positive. Entrambi i tratti sono stati correlati al sistema della serotonina, il quale e' anche l'obiettivo della classe degli antidepressivi conosciuta come Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRI)
Tony Z. Thang, della Norhwestern University di Evanston, e colleghi, ha studiato gli effetti di un particolare antridepressivo, la paroxetina su 240 adulti con disordini depressivi. Il farmaco e' stato assunto da 120 persone scelte in modo casuale, altre 60 sono state sottoposte ad una terapia cognitiva e le ultime 60 persone a placebo per 12 mesi. La loro personalita' ed i sintomi depressivi sono stati valutati prima, durante e dopo il trattamento.
Tutti i partecipanti hanno avveritito un miglioramento dei sintomi depressivi. Comunque, persino dopo aver verificato questi miglioramenti, i soggetti che avevano preso la paroxetina hanno avvertito una maggiore diminuzione del nevroticismo ed un incremento dell'estroversione rispetto ai soggetti sottoposti alla terapia cognitiva o la trattamento con placebo.
''I pazienti che hanno assunto la proxetina riportano un cambiamento dei tratti nevrotici di 6.8 volte maggiore dei pazienti sottoposti a placebo e un cambiamento del tratto dell'estroversita' di 3.5 volte'' dice l'autore.
La scoperta fornisce prove contro una teoria conosciuta come ipotesi dell'effetto di condizione, secondo cui ogni cambiamento della personalita' durante il trattamento con questo tipo di antidepressivi e' da ritenersi solo come l'effetto dell'alleviamento dei sintomi depressivi stessi. Parecchie alternative spiegazioni potrebbero altresì essere considerate.
''Una possibilita' e' che le proprieta' biochimiche degli antidepressivi in questione producano in modo diretto reali cambiamenti di personalita'. Inoltre, poiché la nevrosi è un importante fattore di rischio in grado di caratterizzare gran parte della vulnerabilità genetica per il disturbo depressivo maggiore, i cambiamenti in questo senso, (e nei fattori neurobiologici sottostanti la nevrosi) potrebbero aver contribuito a migliorare i sintomi depressivi'', dice l'autore.
''I farmaci antidepressivi come questi, sono largamente usati nel trattamento della depressione, ma dobbiamo considerare che il loro meccanismo d'azione e' limitato; e' inoltre dimostrato che sono efficaci per il trattamento dei disturbi d'ansia e disturbi alimentari, condizioni in cui vi e' il rischio di incorrere nell'alta vulnerabilita' alle nevrosi ed ad una bassa estroversita'.'' aggiunge.
''Investigando come questi farmaci hanno effetto sulle nevrosi e sull'estroversita' possiamo così comprendere il loro meccanismi d'azione con piu' parsimonia'', concludono

Fonte:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/173078.php

Facebook e la vera personalita' degli utenti.

I social network come Facebook sono usati per esprimere e trasmettere la reale personalita' degli utenti, invece che una identita' idealizzata virtuale. Sarebbe questo il responso di una nuova ricerca condotta dallo psicologo Sam Gosling dell'Universita' del Texas in Austin.
''Sono stato sorpreso dalla scoperta perche' la maggior credenza e' che le persone usino i loro profili per promuovere e incrementare l'impressione di se stessi sugli altri. Infatti, la nostra scoperta suggerisce che i social network on line trasmettono in modo piuttosto accurato l'immagine dei profili degli utenti, o perche' le persone non provano ad apparire migliori di quello che sono oppure essi ci stanno provando e non riescono a farlo. Questa scoperta suggerisce che i social network non sono molto efficaci nel generare un effetto positivo riguardo i profili degli utenti, ma sono solo dei mediatori per instaurare interazioni sociali genuine, molto di piu' che rispetto al telefono'' dice.
Gosling ed un team di ricercatori ha raccolto 236 profili di adolescenti negli Stati Uniti (Facebook) ed in Germania (StudiVZ, SchuelerVZ). I ricercatori hanno utilizzato un questionario per valutare sia le caratteristiche di personalita' reale del proprietario del profilo sia i tratti della loro ideale personalita' (come loro si immaginano o vorrebbero essere). I tratti della personalita' analizzati riguardano: l'estroversita', coscienziosita', nervosismo ed apertura mentale.
Nello studio, gli osservatori hanno valutato il profile delle persone che non conoscevano. Queste valutazioni sono state comparate con il profilo degli utenti interessati, in merito alla loro personalita' reale ed ideale. Le impressioni acquisite sulla personalita' degli individui dei social network sono state accurate e non sono state compromesse dai profili auto idealizzati degli stessi.
''Credo che il grado di esprimere accuramente gli aspetti della personalita', contribuisca alla popolarita' del social network online in due modi. In primo luogo, consente agli utenti proprietari dei profili di permettere agli altri di conoscere chi sono e quindi di soddisfare il bisogno di base di essere conosciuti dagli altri. In secondo luogo, questo significa che i visitatori del profilo sentono che si possono fidare delle informazioni che ottengono dal profilo online visitato, costruendosi una certa confidenza e fiducia del sistema in generale.''
Gosling, recentemente e' stato co-autore di uno studio su come la prima impressione conti quando viene usata per capire la personalita' attraverso l'aspetto fisico. Per la sua ultima ricerca sulla personalita' egli ha concentrato la sua attenzione sulla personalita' in realzione ai social network.
Lo studio verra' pubblicato nel numero in uscita di Psychological Science, il giornale dell'Associazione per le Scienze Psicologiche. I ricercatori sono: Gosling e Sam Gaddis ( Universita' del Texas di Austin), Mitja Back, Juliane Stopfer e Boris Egloff (Universita' Johannes Gutenberg di Mainz in Germania), Simine Vazire (Universita' di Washington in St. Louis), e Stefan Schmukle (Universita' di Westfälische Wilhelms di Münster in Germania).

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/12/091201111154.htm?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+sciencedaily+%28ScienceDaily%3A+Latest+Science+News%29&utm_content=Google+Reader


mercoledì 18 novembre 2009

Invidia e amore

Un nuovo studio condotto dall'Universita' di Haifa ha permesso di scoprire che l'ormone ossitocina, meglio conosciuto come ''l'ormone dell'amore'', che caratterizza i sentimenti come la fiducia, l'empatia e la generosita', sarebbe determinante anche per i sentimenti negativi opposti maligni come la gelosia.
''A seguito di questa scoperta pensiamo che l'ormone sia l'nterruttore generale che innesca i sentimenti sociali: quando la persona e' in uno stato d'animo positivo, l'ossitocina favorisce comportamenti pro-sociali, quando invece succede il contrario, l'ormone innesca sentimenti negativi", spiega il dott. Simone Shamay-Tsoory che ha condotto la ricerca.
I precedenti studi avevano dimostrato che questo ormone ha un effetto positivo sui sentimenti. L'ossitocina e' rilasciata naturalmente durante il parto e le relazioni sessuali.
I partecipanti in un esperimento durante il quale avevano inalato una forma sistetica di questo ormone avevano mostrato livelli piu' alti di sentimenti altruistici, e si suppose che l'ossitocina giocasse un importante ruolo nella formazione di relazioni tra le persone.
In ogni caso, in studi condotti sui roditori, fu scoperto che lo stesso ormone era correlato ad alti livelli di aggressivita'. Quindi si decise di capire meglio se l'ormone in questione fosse determinante anche per i sentimenti sociali negativi.
Il presente studio, che e' stato pubblicato dalla rivista Biological Psychiatry, ha coinvolto 56 partecipanti. Meta' gruppo ha inalato l'ormone in forma sintetica durante la prima sessione e un placebo durante la seconda, l'altra meta' ha ricevuto un placebo durante la prima sessione ed la forma sistetica dell'ormone nella seconda.
Ai partecipanti, quindi, e' stato chiesto di partecipare ad un gioco contro un'altro giocatore, che in effetti ed a loro insaputa, sarebbe stato un comuputer.
Ogniuno dei partecipanti avrebbe dovuto scegliere una di tre porte, consapevole della somma di denaro nascosta dietro di esse. A volte i partecipenti raccoglievano meno denaro rispetto agli altri giocatori, qualche volta piu', creando tutte le condizioni necessarie a sviluppare sentimenti di invidia e gelosia.
La ricerca dimostra che i partecipanti che avevano inalato ''l'ormone dell'amore'' hanno mostrato maggiori livelli di invidia quando gli avversari vincevano piu' soldi.
Un'altro interessante risultato riguarda il fatto che appena il gioco fini' non si riscontrarono differenze evidenti tra i partecipanti a riguardo di quei sentimenti. Questo significa che i sentimenti negativi furono generati solamente dal gioco in essere.
''Seguendo i risultati dei primi esperimenti con l'ossitocina, cominciammo ad esaminare il possibile uso di questo ormone come un rimedio per vari tipi di disordini, come l'autismo. I risultati del presente studio dimostrano che gli indesiderabili effetti sul comportamento devono essere, pero', esaminati a fondo prima di andare avanti'' conclude il Dott. Shamay-Tsoory.

Fonti: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/11/091112095038.htm?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+sciencedaily+(ScienceDaily:+Latest+Science+News)

domenica 25 ottobre 2009

Violenza di coppia: metodo disadattivo per risolvere i conflitti

La violenza tra coppie e' spesso il risultato di un processo di presa di decisione ed il partner violento continuerà ad esserlo fino a quando il prezzo da pagare non sara' troppo elevato.
Questa e' la conclusione di un nuovo studio della Dott.ssa Elia Perkins dell' Universita' di Haifa.
''Il partner violento potrebbe concepire il suo comportamento come una ''perdita di controllo'', ma lo stesso individuo, non sorprendentemente, non perderebbe le staffe e non agirebbe allo stesso modo con gli amici o con il capo ufficio'', spiega.
Nel suo studio, condotto sotto la supervisione del Prof. Zvi Eisikovits e Dottor Zeev Winstok della School of Social Work dell'Universita' di Haifa, la Dott.ssa Perkins dice che in molti casi le coppie continuano a vivere insieme e sostengono un'unita' famigliare condivisa; e' importante quindi capire le dinamiche sottostanti a simili relazioni in modo da poterle affrontare e risolvere.
In primo luogo la Dott.ssa Perkis ha suddiviso la violenza familiare in quattro livelli di gravità:
  1. le aggressioni verbali
  2. minaccie di aggressione fisica
  3. aggressione fisica moderata
  4. aggressione fisica grave
''Questi quattro livelli si succedono in seguenza. Un individuo che utilizza la violenza verbale potrebbe piu' tardi minacciare l'aggressione fisica e da qui adottare l'azione minacciata vera e propria''.
La dott.ssa comunque evidenzia che il risultato di questo studio dovrebbe non essere correlato ai casi di omicidio, perche' nella fattispecie, le dinamiche tra le coppie sono differenti e simili mortali aggressioni non sono state ricomprese nella catena di atti violenti esaminati.
I ricercatori trovano che nelle relazioni tra i partner, l'utilizzo di uno dei quattro livelli di violenza risulta essere calcolato; e' come se, la violenza costituisse uno stumento per risolvere il conflitto tra i due.
''Non e' che le coppie pianificano a tavolino cosa e come si insulteranno o come picchieranno il partner, ma sembra che ci sia una sorta di tacito accordo tra i due in cui i limiti di violenza sono reciprocamente tollerati, dove e' tracciata una linea rossa al di la' della quale il comportamento violento potrebbe diventare pericoloso'', spiega.
Aggiunge anche che, quando parliamo di violenza fisica, nellla maggior parte delle volte ad opera degli uomini, diciamo che il partner violento capisce che per uno schiaffo probabilmente non correra' un rischio elevato, mentre per violenze piu' severe, non incluse nelle dinamiche ''normative'' tra i due, egli potrebbe pagare un prezzo piu' alto; per questo si continua a mantere un comportamento simile ogni volta.
''La definizione di ''prezzo piu' alto'' potrebbe comprendere il rischio di essere abbandonati dal partner che ha subito il danno o la denuncia alla polizia. Quindi si puo' dire che il comportamento violento non e' il risultato di perdita di controllo ma entrambe le parti sono consapevoli di dove arriva la linea rossa che e' stata tracciata, persino se un simile accordo non e' stato mai verbalmente stretto tra i due'', afferma.
Come dice la Dott.ssa Perkis e' importante sottolineare che comportamenti violenti non sono la norma, sono illegali ed ovviamente immorali. Quindi e' solo il partner violento responsabile e colpevole dell'atto perpetrato ai danni dell'altro. Tuttavia, una volta che abbiamo compreso che la violenza viene usata come uno strumento per risolvere i conflitti di coppia che e' interessata a stare insieme, possiamo aiutare i due a sublimare simili comportamenti fornendo loro mezzi adattivi per affrontare la fonte delle tensioni e conflitti della loro vita insieme.
''Nella terapia di coppia per partner che esprimono la volonta' di stare insieme, bisogna focalizzare l'attenzione sull'identificazione degli illegittimi moventi, come le tacite azioni non normative per risolvere il conflitto, assistendo la coppia ad acquisire l'abilita' di convertire i pattern distruttivi e destabilizzanti del loro comportamento in pattern efficaci e positivi per condurre in modo migliore le loro vite'', concludono i ricercatori.

Fonte:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/167982.php

domenica 11 ottobre 2009

Depressione ed obesita'

Le persone che soffrono di depressione, ansieta' e altri disordini della salute mentale sono maggiormente predisposti all'aumento di peso e a diventare obesi rispetto alle persone che non accusano questi problemi.
I ricercatori hanno seguito piu' di 4000 lavoratori Britannici per almeno due decadi in uno dei piu' importanti studi mai condotti per esaminare l'impatto che la salute mentale ha sull'obesita'.
Dalla ricerca si evince che le persone con episodi cronici o ripetuti di depressione, ansietà, o altre problematiche legate alla salute mentale erano piu' a rischio di obesita' lungo il corso dei 19 anni di studio.
Le persone con sintomi di uno o piu' disordini mentali, per ben tre volte durante lo studio, sono risultati il doppio a rischio di obesita' al controllo finale rispetto a quelli che non hanno mai riportato simili sintomi.
Questo studio e' apparso sul BMJ Online First.
''Siamo partiti consideranto le persone non obese. Abbiamo osservato che il rischio di diventare obesi alla fine dello studio era ampiamente correlato con il numero delle volte che veniva riportato un caso di disordine mentale. Quindi abbiamo pensato che ci fosse un'associazione tra questo tipo di patologie mentali e l'aumento di peso.'' dice Mika Kivimaki, ricercatore della University College di Londra.
Lo studio ha incluso 4363 lavoratori tra i 35 ed i 55 anni arruolati a meta' ed alla fine degli hanni 80.
L'esame della salute mentale e delle condizioni fisiche e' stato condotto all'ingresso dei soggetti sperimentali e altre tre volte durante lo studio che ha 19 anni di media. L'esame fisico include la misura di peso, altezza e indice di massa corporea.
A seguito dell'adeguamento dei fattori di rischio sconosciuti per l'obesita', come l'uso di psicofarmaci associati all'aumento di peso, le persone che avevano dei sintomi di depressione, ansieta' o altre problemi legati alla salute mentale all'inizio dello studio risultarono piu' a rischio rispetto a quelli che non lo erano.
L'obesita' pero' non incrementa significativamente il rischio di depressione, ansieta' e simili disturbi mentali come lo studio, complementariamente dimostra.
''Quando noi osservammo questo e analizzammo altre prospettive di ricerca chiedendoci se l'aumento di peso fosse legato alla malattia mentale, il legame non fu immediatamente chiaro.'' dice Kivimaki. ''Non significa che ci sia un'associazione, ma questa sembra essere debole nel nostro studio''.
Gregory E. Simon, psichiatra di Seattle dice invece che le prove che legano l'obesita' alla depressione sono notevoli, ma la direzione dell'associazione non e' chiara.
''Ci sono plausibili ragioni per credere che la depressione incrementi il rischio di obesita' e altre plausibili ragioni per credere che l'obesita' incrementi il rischio di depressione'' dice '' Credo che si verifichino entrambe le condizioni''.
Lo studio di Simon pubblicato nel 2006, suggerisce che l'associazione e' reciproca.
L'aumento dell'appetito e la minore attivita' fisica sono comuni sintomi di una depressione che porta all'aumento di peso mentre i pregiudizi legati all'obesita' possono portare alla depressione.
Egli osserva che il tasso di obesita' della popolazione degli Stati uniti e' va dal 25% al 30%, mentre il tasso di obesita' delle persone con una significativa depressione e' due volte maggiore.
''L'obesita' e' la norma con la depressione, cosi e' difficile separare l'una dall'altra.'' dice Simons
''Uguale e' dire che le persone depresse hanno piu' problemi coniugali e le persone con problemi coniugali hanno una maggiore depressione. Ci sarebbe bisogno di un bel coltello tagliente per separare le due cose''.

Fonte:
http://www.webmd.com/mental-health/news/20091006/depression_anxiety_linked_weight_gain?src=RSS_PUBLIC

sabato 25 luglio 2009

Contagiosa devianza criminale

I ragazzi impulsivi con inadeguata supervisione, provenienti da famiglie povere e con amici devianti sono molto piu' a rischio di commettere azioni criminali rispetto ad altri ragazzi della stessa coorte di eta'. Questa e' la conclusione di uno studio pubblicato nel Journal of Child Psychology and Psychiatry.
La scoperta piu' sorprendente in 20 anni di ricerca nel settore, che e' stata condotta dai ricercatori dell'Univerisita' di Montreal e dall'Universita' di Genova, riguarda il ruolo dell'aiuto fornito dal sistema giudiziario giovanile che sostanzialmente incrementa il rischio che i ragazzi siano coinvolti nelle attivita' criminali durante l'eta' adulta.
''Per i ragazzi che hanno avuto a che fare con il sistema di giustizia minorile le probabilita' di essere sottoposti a giudizio e avere problemi con la giustizia aumenta di sette volte, a confronto con ragazzi con simili esperienze, ma senza che abbiano mai avuto problemi con la giustizia'' affermano il co-autore della ricerca Richard E. Tremblay professore di psicologia, pediatria e psichiatria all'universita' di Montreal ed un ricercatore del Sainte-Justine University Hospital Research Center.
Il team di ricercatori si sono basati su bambini della scuola materna che furono a rischio di comportamenti delinquenziali e che furono iscritti a 53 scuole dei quartieri piu' poveri. 779 di loro furono intervistati annualmente dall'eta' di 10 anni fino al compimento del diciassettesimo anno. Attorno ai 25 anni si sono macchiati di delitti come l'omicidio (17.9%), incendi dolosi (31,2%), prostituzione (25.5%), possesso di droga (16.4), guida pericolosa (8,8%).
''Inoltre, la cosa piu' impressionante, e' che l'aiuto fornito dal sistema di giustizia minorile, e' stato di impatto negativo'' afferma il Dott. Tremblay. ''La nostra scoperta assume perfino un impatto maggiore del sistema giuridico nella provincia del Quebec che ha la reputazione di essere il migliore. Molti paesi impiegano considerevoli risorse finanziarie per trovare programmi e istituzioni in grado di aiutare i giovani gruppi devianti. Il problema e' che il comportamento delinquenziale e' contagioso tra gli adolescenti. Mettendo giovani adolescienti devianti insieme creiamo una cultura della devianza che incrementa la probabilita' di comportamenti criminali continuativi.''
''Esistono due soluzioni per questo problema'' aggiunge il Dott. Tremblay. ''La prima e' l'implementazione di programmi di prevenzione prima dell'adolescenza quando i bambini sono piu' ricettivi. La seconda e' quella di minimizzare la concentrazione dei problemi giovanili nei programmi di giustizia minorile, quindi riducendo il rischio di contagio tra i pari.''

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/157938.php


mercoledì 22 luglio 2009

L'imprecazione e' la risposta al dolore

Uno studio condotto nel Regno Unito ha messo in evidenza che inveire riduce gli effetti del dolore probabilmente perche' evoca una risposta comportamentale simile a quella del riflesso di fuga o attacco quando si supera il limite tra la paura del dolore e la percezione del dolore stesso.
Lo studio e' stato condotto dagli psicologi Richard Stephens, John Atkins e Andrew Kingston alla Keele University nello Staffordshire ed e' stata recentemente pubblicata nella rivista specializzata NeuroReport.
Sebbene imprecare rappresenta una comune risposta al dolore e' un mistero sapere se effettivamente altera la nostra esperienza di esso.
Secondo una relazione dell'agenzia di stampa Reuters, Stephens dice che il comportamento di imprecare e' da secoli comune ed e' quasi un fenomeno linguistico umano universale.
La ricerca mostra una potenziale ragione del perche' questo comportamento si sviluppa e perche' esso persista nel tempo.
Stephens dice che tutto dipende dall'emisfero destro del cervello, mentre molte dendenze linguistiche si sviluppano dall'emisfero sinistro (foto in alto).
Per questo studio, i ricercatori hanno studiato quale imprecazione altera la capacita' di 64 volontari di resistere con le mani immerse nell'acqua fredda (tolleranza al dolore a sangue freddo). E' stata misurata, inoltre, la percezione al dolore e misurato il battito cardiaco.
L'esperimento si e' svolto in due distinte fasi.
Nella prima fase i ricercatori hanno chiesto ai volontari di ripetere degli improperi mentre tenevano le mani immerse nell'acqua.
Nella seconda fase la prova e' stata ripetuta, ma, questa volta, e' stato chiesto loro di ripertere delle semplici parole descrittive delle caratteristiche di un tavolo.
Stephens e colleghi hanno esaminato le differenze di genere, il ruolo del dolore, paura del dolore e tratti di ansieta'.
I risultati dimostrano che comparando le due condizioni sperimentali, imprecare incrementa la tolleranza al dolore ed il battito cardiaco, in aggiunta diminuendo la percezione del dolore.
I ricercatori concludono che le osservazioni sulla diminuzione del dolore (ipoalgesia) possono essere dovute alle tendenze sopracitate includendo una risposta comportamentale di fuga o attacco annullando il legame tra paura del dolore e la percezione del dolore stesso.
Stephens disse alla stampa che non e' stato stabilito il legame con il riflesso di attacco o fuga, ma si suppone che l'imprecazione abbia effetti sull'aumento dell'aggressivita'.
''Cio che e' chiaro e' che le imprecazioni innescano non solo responsi emozionali, ma anche fisici'', aggiunge Stephens spiegando che questo accade perche' la tendenza umana di imprecare e' sopravvissuta durante tutto il corso dei secoli.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/157725.php


sabato 18 luglio 2009

L'attivita' del cervello bugiardo

Usando le comuni tecniche di neuroimmagine, gli psicologi hanno osservato i processi cerebrali in soggetti a cui era stata data la possibilita' di guadagnare denaro in modo disonesto mentendo. Hanno scoperto che nelle persone oneste non si nota una attivita' cerebrale maggiore quando dicono la verita' e questo significa che non sono necessari processi extra cognitivi quando si sceglie l'onesta'. Ad ogni modo, gli individui che si sono comportati disonestamente, persino quando dicono la verita', mostrano un attivita' maggiore nelle regioni cerebrali convolte nei meccanismi di controllo ed attentivi.
Lo studio e' stato pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences ed e' stato condotto dal dott. Joushua Greene, assistente professore di Psicologia nella Facolta' di Arte e Scienze dell'Universita' di Harvard, e da Joe Paxton, uno studente lureato in Psicologia.
''Essere onesti non consiste tanto nel tentativo di esercitare una volonta' come l'essere disposti a comportarsi onestamente in molti e difficili tipi di modi,'' dice Greene. ''Questo puo' non essere vero per tutte le siutazioni, ma sembra vero almeno in questo caso''.
I ricercatori hanno cercato di testare almeno due teorie circa la natura dell'onesta'.
  1. La ''Will'' Theory, in cui l'onesta' risulta dall'attiva resistenza alla tentazione;
  2. La ''Grace'' Theory, in cui l'onesta' e' il prodotto della mancanza di tentazione.
I risultati dello studio suggeriscono che la ''Grace'' Theory e' vera, in quanto i partecipanti onesti non hanno mostrato nessuna maggiore forma di attivita' neurale quando raccontavano la verita'.
Per spingere i partecipanti a mentire, i ricercatori hanno inventato una storia di copertura per i loro studi. La ricerca fu presentata come uno studio sulle abilita' paranormali di predire il futuro.
Ai partecipanti fu chiesto di predire i propri risultati di una serie di lanci di monete, e fu detto loro che i ricercatori credevano che la veridicita' della previsione sarebbe stata maggiore quando veniva dato loro un incentivo economico e quando la previsione non veniva condivisa prima del risultato del lancio. Questo dava ai partecipanti l'opporutnita' di mentire e dire che loro avavano correttamente predetto il risultato del lancio della monetina per ottenre l'incentivo economico.
Se il loro numero di risposte corrette fosse stato statisticamente plausibile significava che gli individui avevano detto la verita' e questa sarebbe stata la misura da utilizzare per valutare l'onesta'.
Gli individui che riportarono alti livelli di accuratezza nella previsione furono classificati come disonesti, mentre i partecipanti che riprotarono livelli plausibili di previsione e di accuratezza furono calssificati come onesti.
I ricercatori sottolineano che ''l'etichetta'' di onesti e disonesti descrive solo i comportamenti degli individui in questa particolare condizione sperimentale e non necessariamente caratterizza il loro comportamento piu' generale.
Usando la Risonanza Magnetica Funzionale (fRMI) Greene ha scoperto che gli individui onesti mostrano una piccola e non aggiuntiva attivita' cerebrale quando riportavano la loro previsione circa il lancio delle monete. D'altro canto, il cervello dei partecipanti disonesti fu maggiormente attivo nelle regioni deputate al controllo quando loro decidevano di non mentire. Queste aree impegnate nel controllo dei comportamenti includono la corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia cingolata anteriore, e ricerche precedenti avevano dimostato che queste regioni sono attive quando viene chiesto a qualcuno di mentire.
Contrariamente alle ricerche precedenti in cui veniva esaminata l'attivita' cerebrale dei soggetti a cui veniva chiesto di mentire, questo e' il primo studio in cui si esamima l'attivita' cerebrale di soggetti che mentono in modo spontaneo.
Questo studio e', inoltre, il primo a esaminare esempi di verita' raccontata da individui che altrimenti sarebbero stati disonesti, e l'attivita' neurale presente quando questi individui scelgono se mentire o meno.
Greene nota che si e' notata un'importante distinzione tra l'attivita' cerebrale gli individui onesti quando dicevano la verita' e quella dei disonesti quando dicevano la verita'.
''Quando le persone oneste lasciano il denaro sul tavolo, non si vede nulla di speciale nell'attivita' del loro cervello'', dice Greene. ''Mentre, quando le persone disoneste lasciano le monete sul tavolo, si osserva la maggiore e robusta attivazione della rete di controllo comportamentale.''
Se le neuroscienze sono in grado di identificare le bugie attraverso l'osservazione dell'attivita' cerebrale dei menzonieri, sara' importante distinguere tra l'attivita' cerebrale mentre si mente e quella causata dalla tentazione di mentire. Greene dice che eventualmente puo' essere possibile identificare le bugie osservando l'attivita' cerebrale, sebbene maggiori ricerche devono essere condotte prima che questo sia effettivamente possibile.

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/07/090713201622.htm

domenica 28 giugno 2009

Il sonno della memoria

Gli esperti hanno a lungo sospettato che i processi di passaggio delle informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine avvengano durante il sonno. Adesso gli scienziati dell'Istituto di Picower per l'apprendimento e la memoria hanno dimostrato che i topi a cui era stata impedita la ripetizione neurale delle esperienze di veglia non memorizzano queste esperienze durante il sonno come fanno i topi che hanno attiva questa funzione.
Lo studio, che ha una profonda implicazione nelle ricerche a riguardo del sonno, e' stato illustrato il 25 giugno su Neuron.
Si crede che le memorie spaziali e di eventi siano immagazzinate brevemente nell'ippocampo prima che queste vengano consolidate nella neocorteccia in modo permanente. Si suppone che l'ippocampo, che ha la forma di un cavalluccio marino, svolga un ruolo fondamentale nell'apprendimento e nella memoria, ma il preciso circuito e i meccanismi coinvolti non sono stati ancora ben compresi.
''La nostra ricerca dimostra il legame molecolare tra il sonno post-esperienze ed il consolidarsi di quelle informazioni nella memoria a lungo termine'' dice Susumu Tonegawa, Professore di Biologia e Neuroscienze al Mit ed autore dello studio.
''Il nostro e' il primo studio per dimostrare questo legame cioe' tra la ripetizione dell'informazione ed il suo consolidarsi. Il cervello durante le ore del sonno deve ripetere le esperienze come se fossero dei video clip prima che questi ricordi passino dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine.''
I ricercatori hanno osservato un circuito entro l'ippocampo conosciuto come via trisinaptica, lungo la quale le informazioni neuronali passano attraverso tre principali sottostrutture dell'ippocampo prima di andare oltre.
''Abbiamo dimostrato che questa via e' cruciale per la trasformazione delle memorie recenti, formatesi entro un giorno, in memorie a lungo termine che vengono mantenute per almeno 6 settimane dopo'', dice Tonegawa.
Attraverso le tecniche di ingegneria genetica sono stati creati dei topi in cui, un cambiamento di dieta, provoca la disattivazione del circuito trisinaptico. I ricercatori hanno utilizzato degli elettrodi per tenere monitorata l'attivita' delle cellule ippocampali degli animali mentre questi correvano nel labirinto e durante il sonno.
I topi, mentre correvano, formavano entro il loro cervello un pattern di cellule place o neuroni che aveva il compito di riconoscere i tratti del labirinto attraverso cui i topi erano gia' passati. Durante il sonno, in particolar modo durante la fase del sonno profondo (il sonno ad onde lente) le cellule formatesi durante la corsa venivano riprodotte in una seguenza simile.
Negli studi sugli esseri umani, testando il ruolo del sonno ad onde lente nel consolidamento della memoria, si e' visto che coloro che avevano fatto un pisolino dopo essersi sottoposti ad un compito di memorizzazione di coppie di parole come ''frutta-banana" e ''attrezzi-pinze'' furono maggiormente in grado di rievocare un maggior numero di coppie di parole rispetto a coloro che non avevano riposato.
Si suppone che questa ripetizione, supposta ma mai dimostrata, e' importante per la conversione delle nuove informazioni immagazzinate nell'ippocampo in memoria a lungo temine immagazzinata nella neocorteccia.
''Abbiamo dimostrato che nei topi ''mutanti'' in cui la via trisinaptica e' bloccata, questo processo di ripetizione durante il sonno ad onde medie e' impedito'' dice Tonegawa. Gli animali possono memorizzare a lungo termine il percorso del labirinto solo quando, dopo la formazione delle memorie a breve termine, la loro via trisinaptica e' attiva .
''La nostra conclusione e' che la via trisinaptica replica durante il sonno le seguenze delle memorie a breve temine che si formano nell'ippocampo; il sonno inoltre svolge un ruolo cruciale nella formazione delle memorie a lungo termine'', conclude Tonegawa.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/155293.php

martedì 23 giugno 2009

Vero o Falso?

Un recente studio, utilizzando le tecniche di neuroimmagine, ha mostrato che l'abilita' di distinguere il vero dal falso, coinvolge due distinti processi.
Le ricerche precedenti facevano affidamento sul fatto che sia le dichiarazioni vere sia quelle false fossero analizzate dalla parte inferiore della corteccia frontale sinistra.
I ricercatori dell'Universita' di Lisbona e Vita-Salute di Milano hanno scoperto invece che utilizziamo due processi separati per determinare l'attendibilita' delle dichiarazioni che analizziamo durante la nostra vita quotidiana.
La decisione in merito alla veridicita' o mendacita' di quello che ci viene detto coinvolge la memoria, infatti vengono impegnate le capacita' di ragionamento, ed i processi di problem-solving.
Utilizzando la Risonanza Magnetica Funzionale (fRMI), lo studio esamina l'impatto di frasi vere e false sull'attivita' cerebrale durante un compito di analisi delle caratteristiche della frase.
Hai partecipanti e' stato chiesto di leggere semplici frasi composte da un soggetto ed un verbo (l'aereo atterra) e di decidere se la frase e' vera oppure e' falsa.
E' importante sottolineare che tutte le frasi vere e false si eguagliano in termini di ambiguita', infatti lo stesso soggetto e lo stesso verbo e' stato usato per i due tipi di frase. Le frasi false hanno attivato la corteccia fronto-polare destra che e' anche l'area attivata dai compiti di ragionamento. Le frasi vere, invece, hanno prodotto l'attivazione della corteccia parietale inferiore ed il nucleo caudato bilateralmente. Si suppone che quest'attivazione sia dovuta al riflesso dell'analisi semantica della frase ed ad una maggiore ed estesa ricerca mnestica. L'attivazione del nucleo caudato puo' invece essere dovuta al processo di ricerca ed accoppiamento tra soggetto e verbo oppure al fatto che, riconoscere una frase come vera rappresenta, per il soggetto, una forma di ricompensa, e questa area infatti e' coinvolta nei processi di questo genere.
Considerando i risultati dell'esperimento e gli studi precedenti sarebbe possibile riconciliare le storiche posizioni conflittuali circa la comprensione del linguaggio inteso da Protagora e Socrate.
Sembra, paradossalmente, che quando le differenze tra verita' e menzogna sono chiare, ci comportiamo come relativisti ed utilizziamo simili processi per arrivare ad una decisione in merito alla loro falsita' o veridicita'. Quando, invece, queste differenze sono piu' sottili (il caso di questa ricerca) facciamo una distinzione categoriale e utilizziamo processi qualitativamente differenti per decidere in merito.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/154391.php

Ritiro del Co-proxamol

Il ritiro del comune analgesico co-proxamol dal mercato del Regno Unito ha prodotto una notevole riduzione dei suicidi e di avvelenamenti accidentali, senza un incremento di morti dovute ad altri farmaci simili.
I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati su bmj.com.
Il co-proxamol e' stato il piu' comune farmaco da banco in circolazione usato per i suicidi ed ha provocato 766 morti dal 1997 al 1999 in Inghilterra e Scozia. A causa dell'alto numero degli avvelenamenti fatali la Committee on Safety in Medicines annuncio' nel 2005 che lo avrebbe ritirato dal mercato nel 2007.
Questa iniziativa e' stata efficace ma non era stato ancora stabilito l'effettivo ridotto numero dei decessi.
Keith Hawton dell'univerista' di Oxford ed i suoi colleghi, quindi, usando delle statistiche nazionali hanno confrontato l'impatto dell'annuncio del ritiro del co-proxamol come farmaco prescrivibile e da banco e le morti dovute al farmaco in aggiunta con altri farmaci simili, in Inghilterra e Scozia tra il 1998 ed il 2007.
La ricerca mostra una diminuzione del 59% della prescrizione e vendita del farmaco in questione dopo l'annuncio del suo ritiro, seguita da un incremento delle prescrizioni di farmaci analgesici alternativi come il paracetamolo.
Questa indotta inversione di tendenza nelle prescrizioni farmaceutiche e' stata accompagnata da una riduzione del 62% dei suicidi, 295 volontari (349 comprendendo le morti per avvelenamento accidentale), senza un ulteriore incremento dei decessi dovuti ad altri analgesici prescrivibili.
L'autore della ricerca dice che il rischio di suicidi dovuti ad altri farmaci simili e' assolutamente assente.
Questa scoperta suggerisce che nel Regno Unito questa iniziativa e' stata una misura efficace ed evidenzia come la autorita' preposte ''possono avere un importante funzione sulla salute pubblica, come si e' scoperto per la misure di restrizione della vendita dei farmaci da banco'' concludono i ricercatori.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/154834.php

sabato 20 giugno 2009

Solo 100 ms

Da una ricerca della Princepton University, sappiamo che gli aspetti della personalita' di singoli individui possono essere inferiti da tratti del viso. Questa relazione era stata gia' supposta da Lavater quando scrisse Essays on Phisiognomy dove illustro' vari casi al riguardo. Sebbene queste idee potrebbero essere considerate ridicole, in realta' la tendenza ad attribuire tratti di personalita' basandosi su aspetti e caratteristiche fisiche non e' da sottovalutare perche' e' di grande impatto sulla vita di tutti.
Un individuo fisicamente attraente e' portato a raggiungere i suoi obiettivi piu' facilmente e ricevera' meno giudizi negativi, per esempio.
Dalle caratteristiche della faccia, inoltre, gli individui, non solo formano un giudizio globale, ma inferiscono precisi tratti ed impressioni.
I ricercatori infatti hanno dimostrato che l'inferenza della competenza del candidato all'elezione del congresso degli Stati Uniti nel 2000, 2002, 2004 ne' ha predetto il vincitore. Sono stati anche valutati e considerati altri aspetti della personalita' come l'affidabilita' e la piacevolezza, ma la competenza e' risultata maggiormente correlata col candidato vincitore. Questo significa che questo tratto e' di gran lunga considerato il piu' adatto per una persona che svolge un ruolo pubblico.
Queste inferenze, quindi, hanno un grosso impatto e influenza sulle nostre decisioni e comportamenti. Certo, quando diciamo questo, non ci riferiamo alle decisioni volontarie, ma senza alcun ombra di dubbio, possiamo anche dire che queste influenze sono spesso sottovalutate perche' inconsapevoli.
I ricercatori hanno supposto l'esistenza di due sistemi: il primo riflessivo sistema e' quello che e' veloce, intuitivo, non volontario che analizza i tratti della faccia per trarne le relative inferenze. Il secondo, invece, lento, faticoso e volontario.
Le ricerche sui processi visivi ci mostra come le rappresentazioni mentali degli oggetti importanti del campo visivo si costituiscono anche molto velocemtente e quindi osservando i visi e' possibile che le inferenze su attributi sociali significativi possano essere estratti in tempi brevissimi.
Sono stati condotti una serie di studi in cui sistematicamente sono stati manipolati i tempi di esposizione alle facce per scoprire le condizioni minime entro cui, gli individui formano un giudizio in relazione alla personalita' osservando le caratteristiche del viso.
Sono stati condotti 5 esperimenti, ogniuno dei quali su una caratteristica diversa come attrattiva, piacevolezza, affidabilita', competenza ed aggressivita'.
L'attrattiva e' la caratteristica che piu' si lega all'aspetto fisico per cui e' stata usata come benchmark per le altre caratteristiche sperimentate. Anche la piacevolezza ha un buon legame con l'aspetto fisico, mentre le altre tre caratteristiche sono piu' comportamentali. Tutte queste caratteristiche inoltre sono importanti sia per le interazioni sociali e sia per quelle economiche.
Nell'esperimento tutte le facce (non familiari) sono state presentate in tre diverse condizioni sperimentali: la prima prevedeva una esposizione di 100 ms, la seconda 500 ms e la terza 1000 ms.
Le tre ipotesi sono che:
  1. i tratti della pesonalita' vengono estratti gia' a 100ms
  2. un'ulteriore e maggiore esposizione alle facce faccia aumentare la confidenza nei confronti dei tratti inferiti, senza necessariamente osservare un cambio di giudizio.
  3. un tempo ancora piu' lungo consente di ottenere impressioni maggiormente differenziate sui tratti inferiti.
Il gruppo di controllo era costituito da un campione di individui che avrebbe dato un giudizio sulle foto senza essere sottoposto ad alcuna pressione temporale.
Quindi se il giudizio si fosse formato a 100 ms, i risultati del gruppo sperimentale sarebbero dovuti essere significativamente simili a quello del gruppo di controllo. In caso contrario sarebbe stato necessario un maggior tempo di esposizione per far coincidere i giudizi.
Il tempo di 500 ms dovrebbe essere un tempo sufficiente per permettere agli individui di formare un giudizio stabile sui tratti inferiti. In questo caso, il giudizio dato sarebbe dovuto essere significativamente simile a quello del gruppo di controllo.
In ultimo, l'esposizione a 1000 ms avrebbe dovuto portare gli indiviudi a formare un giudizio maggiormente differenziato sui tratti inferiti. Se un giudizio globale sarebbe stato significativamente vicino a quello del gruppo di controllo, un tempo di esposizione maggiore avrebbe dovuto portare gli indiviudi a differenziare ed approfondire i giudizi dati e per cui il risultato finale sarebbe una maggiore discrepanza di giudizio rispetto al gruppo di controllo.
Sono stati impegnati 245 studenti universitari. 117 destinati a formare il gruppo di controllo e i rimanenti a costituire il gruppo sperimentale.
2o di loro sono stati assegnati al gruppo che avrebbe valutato l'attrattiva, 25 alla piacevolezza, 23 alla competenza, 24 alla fiducia e 25 all'aggessivita'.
Le immagini usate appartenevano a 66 persone sconosciute 33 uomini e 33 donne.
Il gruppo di controllo avrebbe dovuto osservare le immagini ed esprimere un giudizio sui tratti oggetto della sperimentazione senza ''fretta''. Avrebbero dovuto esprimere un giudizio su un questionario separato basandolo su una scala da 1 a 9. Questo giudizio era importante per confrontare il giudizio dei soggetti sperimentali.
Ovviamente, ci si aspettava che il giudizio dei soggetti sperimentali fosse correlato con quello dei soggetti del gruppo di controllo.
Ai soggetti del gruppo sperimentale venne detto che quello era un esperimento sulla prima impressione e si pregava loro di rispondere il piu' velocemente possibile. Inoltre, si faceva loro presente che l'immagine sarebbe apparsa solo una volta. Erano davanti lo schermo di un pc, e la prova partiva dopo aver permesso loro di familiarizzare con l'ambiente. Osservavano una punto di fissazione centrale costituito da una + al centro dello schermo e poi appariva l'immagine e vi restava per il tempo di 100ms, 500ms o 1000ms.
Subito dopo, una domanda presentata sullo schermo chiedeva loro di dire se il personaggio visto sullo schermo fosse attraente, piacevole, affidabile, competente o aggressivo. La risposta prevedeva un si o no da parte dell'utente. Il sistema chiedeva successivamente loro di valutare la confidenza del giudizio espresso su una scala da 1 a 7.
I risultati mostrano che gia' a 100 ms di esposizione i giudizi espressi dagli individui e' significativamente correlato con quelli espressi da gruppo di controllo. Come ci si aspettava, e' l'attrattiva la voce maggiormente correlata all'aspetto fisico, dopotutto e' un tratto specifico della faccia. Si e' anche notata un'elevata correlazione per il giudizio di affidabilita'. Con l'aumento del tempo di esposizione questi giudizi non cambiano significamente.
L'aumento del tempo porta gli individui a dare dei giudizi piu' negativi, quindi meno attrattiva, meno piacevolezza, meno affidabilita', meno competenza, meno aggressivita'. Il livello dei giudizi si stabilizza a 500 ms senza sostanziali modifiche, nemmeno quando il tempo di esposizione e' diventato di 1000 ms. Il tempo di risposta degli indiviudi diminuisce quando si passa da 100 a 500 ms ad eccessione del giudizio sull'affidabilita', e quando si passa da 500ms a 1000ms la situazione resta invariata.
La confidenza sui vari tratti aumenta da 100ms a 500ms di esposizione tranne che per l'aggressivita e da 500ms a 100ms la tendenza e' confermata ad eccezione del giudizio sulla competenza.
Con l'esposizione a 1000ms, infine, si e' visto che i giudizi diventano maggiormente differenziati in base ai tratti da valutare. I tratti positivi infatti producevano giudizi positivi, mentre tratti negativi producevano giudizi negativi.
In conclusione abbiamo visto che i giudizi su tratti di personalita' si forma gia' a 100ms di esposizione alla faccia. L'osservazione relativa al fatto che il tempo necessario per esprimere il giudizio decresca passando da 100ms a 500ms indica che il giudizio e' dato in modo molto veloce nella prima condizione rispetto alla seconda.
Con l'aumento dell'esposizione i giudizi diventano piu' negativi, e la spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che, in situazioni di pressione temporale, i giudizi vengono dati in base al naturale bias positivo degli individui. Infatti con l'aumento dell'espozione a 500 ms i vari individui hanno avuto il tempo di esprimere un giudizio piu' soggettivo in relazione al tratto inferito.
Ci si apettava una correlazione piu' alta per l'attrattiva, ma e' stata riscontrata una alta correlazione anche per l'affidabilita' e questa puo' essere spiegata in temini evoluzionistici, infatti, il rilevamento dell'affidabilita' e' una capacita' fondamentale per la sopravvivenza. Dagli studi con le tecniche di neuroimmagine si e' scoperto che il rilevamento dell'affidabilita' e un processo automatico ed e' legato all'attivita' dell'amigdala, una struttura subcorticale fondamentale per l'individuazione di potenziali stimoli pericolosi. Infatti lesioni di questa struttura portano gli individui ad avere difficolta' nell'identificare facce di persone affidabili da quelle inaffidabili.
Questo studio quindi mostra che le persone sono estremamente efficienti nell'individuare questa caratteristica infatti l'alta correlazione nella detenzione di questo tratto e' paragonabile solo all'attrattiva.
Si suppone che le varie componenti dalla faccia vengano elaborate in tempi diversi per cui le varie inferenze vengono fatte con tempi diversificati. Infatti, possiamo dire che il giudizio di affidabilita' e attrattiva si forma piu' velocemente rispetto agli altri giudizi.
Il fatto che con l'aumentare dei tempi di esposizione i giudizi diventano meno correlati, dimostra come, da un giudizio inizialmente globale, se ne forma un altro maggiormente approfondito.
Riassumendo quindi, un tempo di esposizione di 100 ms e' sufficiente per formare un giudizio sui tratti della personalita' degli individui e che questi giudizi sono ancora ancorati alle inferenze iniziali. Questo processo puo' essere incontrollato e vede l'attivazione dei processi del sistema veloce, intuitivo e non riflessivo. Quindi come diveva Lavater tutti noi siamo quotidianamente influenzati dalla fisiognomica.

Fonti:
First Impressions
Making up your mind after 100-ms exposure to a face
di Janime Willis e Alexander Todorov

sabato 23 maggio 2009

Le strutture di base della socievolezza

I ricercatori dell'Universita' di Cambridge hanno scoperto che caratteri come l'estroversita' e la socievolezza dipendono dalla struttura del cervello, infatti maggiore e' la concentrazione di tessuto cerebrale in certe parti e' piu' si e' maggiormente affettuosi e sentimentali.
Perche' ci sono alcuni di noi a cui piace stare in compagnia, mentre altri preferiscono starci lontano, isolati ed indipendenti? Nel tentativo di rispondere a questa domanda il Prof. Maël Lebreton ed i suoi colleghi del Dipartimento di Psichiatria di Cambridge, in collaborazione con l'Universita' di Oulu, in Finlandia, ha esaminato la relazione tra personalita' e struttura cerebrale di 41 volontari di sesso maschile.
I volontari sono stati sottoposti alla risonanza magnetica (MRI) e hanno anche compilato un questionario in cui gli si chiedeva di valutare se stessi su item come ''Mi piace essere cortese con la gente'' o ''Ho una buona relazione con la maggior parte della gente''. Il risultato del questionario e' servito per avere una misura generale di socievolezza e sentimenti di affetto chiamati ''soddisfazione sociale''.
I ricercatori hanno quindi analizzzato la relazione tra la soddisfazione sociale dei soggetti e la concentrazione di materia grigia in differenti regioni del cervello. Hanno trovato che la maggiore concentrazione di questi tessuti si trova nella corteccia orbitofrontale (foto a sinistra) (la parte del cervello piu' estrema, giusto sopra gli occhi) e nel corpo striato ventrale (una struttura che si trova in profondita' nel centro del cervello) in misura maggiore in coloro che avevano un punteggio piu' elevato della misura di soddisfazione sociale. La ricerca e' stata pubblicata sull'European Journal of Neuroscience il 20 maggio.
Il Dott. Graham Murray, che ha spiegato i risultati della ricerca dice che la socievolezza e i comportamenti affettuosi verso gli altri, sono dei tratti della nostra personalita' molto complessi. Egli afferma inoltre che questa ricerca ci aiuta a capire, a livello biologico, perche' le persone differiscono nel grado con cui esprimono questi tratti.
''Dobbiamo fare attenzione" dice "perche' siccome questa ricerca e' solamente correlativa non puo' dimostrare che la struttura del cervello determina la personalita'. Potrebbe persino essere che, la nostra personalita', attraverso l'eseperienza, aiuti in parte a determinare la struttura cerebrale''.
E' interessante notare che da studi precedenti e' stato dimostrato che la corteccia orbitofrontale e il corpo striato ventrale sono fondamentali per i processi di molte funzioni cerebrali piu' semplici come quelle per gli stimoli sessuali o la percezione del gusto dolce.
Il Dr Murray spiega che sarebbe interessante se si trovasse che il nostro grado di soddisfazione sociale, che otteniamo attraverso le interazioni sociali, dipendesse da varie strutture cerebrali che sono coinvolte in altre gratificazioni piu' semplici come quelle derivanti dal cibo, dai liquidi dolci, dal sesso.
''Questo, con molta probabilita', e' un indizio su come tratti complessi come i sentimenti e le impressioni si sono evolute da strutture che negli animali furono originariamente importanti solo per i processi di base della sopravvivenza biologica.''dice.
La ricerca puo' anche fornirci nuove idee in merito ai disordini psichici che compromettono le interazioni sociali come nell'autismo e schizofrenia.
''Alcuni pazienti con problemi psichici spesso hanno notevoli difficolta nel percepire i sentimenti, specialmente dalle persone che sono intorno a loro e questo puo' avere un forte impatto sulla loro vita. Potrebbe essere che, la causa di quelle difficolta' sia almeno parzialmente douvta alle caratteristiche della struttura cerebrale che determina quei disturbi.'' conclude il Dott. Murray.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/150792.php

lunedì 18 maggio 2009

Delinquenze adolescenziali

La ragione per cui alcuni adolescenti sono maggiormente esposti al rischio di vittimizzazione rispetto ad altri e' da ricercare in fattori genetici. Questo e' il risultato di uno studio pioneristico condotto di criminologo Kevin M. Beaver della Florida State University.
Si crede che questo studio sia il primo a indagare sulle basi genetiche della vittimizzazione.
''I fenomeni di vittimizzazione possono sembrare legati a fenomeni puramente ambientali in cui le persone divengono vittime casuali di reati vari per ragioni che non hanno nulla a che fare con il loro patrimonio genetico'' dice Beaver, che e' professore in uno dei 10 migliori College al mondo di Criminologia e di Giustizia Criminale. ''Comunque, siccome sappiamo che alcuni tratti della persona sono influenzati geneticamente, come, ad esempio, lo scarso auto controllo che determina comportamenti delinquenziali e siccome i delinquenti, anche quelli particolarmente violenti, tendono ad associarsi in gruppo con i coetanei con altrettanti comportamenti antisociali, ho ragione di sospettare che i fattori genetici possano influenzare la quota di coloro che rimangono vittime di crimini, e questi fattori sono appunto alla base del nostro studio.'', aggiunge.
Beaver nel suo studio longitudinale ha analizzato un campione di gemelli identici e fraterni estratto da un grande campione rappresentativo di adolescenti di entrambi i sessi intervistati nel 1994 e 1995. L'intervista ha raccolto informazioni che includevano dettagli in merito alla vita famigliare, alla vita sociale, le ralazioni con l'altro sesso, le attivita' del tempo libero, uso di alcolici e droghe, predisposizione a rimanere vittima di reati.
I dati hanno mostrato che, nei gemelli identici, i fattori genetici considerati raggiungono il 40-45% della varianza nella vittimizzazione adolescenziale, mentre il resto della varianza riguardava i soggetti non gemmelli e che non condividevano lo stesso ambiente. Gli effetti dei fattori genetici considerati raggiungeva il 64% della varianza, se si considerano i gemelli vittime di reati plurimi.
''Il nodo cruciale riguarda il fatto che, se i fattori genetici sono la causa del maggior rischio di essere vittima di reati, siccome questi fattori non cambiano, allora ci sono buone probabilita' che questi individui rimangano piu' volte vittime di reati durante il corso della vita'' dice Beaver.
Tutti i risultati dello studio sono descritti in un articolo che sara' pubbblicato nel numero speciale di luglio 2009 del Youth Violence and Juvenile Justice che si occupa di criminologia biosociale.
''E' possibile che si riesca ad identificare l'effetto dei geni sulla vittimizzazione perche' questi possono essere compresi indirettamente attraverso il comportamento'', dice Beaver. ''Gli stessi fattori genetici che determinano i comportamenti antisociali possono anche determinare fenomeni di vittimizzazione, in quanto gli adolescenti che sono coinvolti in atti di delinquenza tendono ad avere compagni ed amici ugualmente delinquenti da cui possono subire dei reati e la loro stessa delinquenza. A turno quindi, questi individui possono essere vittime e criminali allo stesso tempo. Vittime, perche' possono subire, anche ripetutamente, le violenze dei propri coetanei e delinquenti perche' possono essere i protagonisti di violenze inflitte agli altri.''
Vittime e criminali non sono sempre innocenti protagontisti passivi di eventi ciminali occasionali, ma a volte partecipano attivamente alle proprie esperienze di vittimizzazione.
''Comunque, non diciamo che i fenomeni di vittimizzazione si verificano perche' un gene dice ''Ok! Sii vittima!'' e non diciamo che la vittimizzazione dipende totalmente dai fattori genetici.'', dice Beaver. ''Tutti i tratti e comportamenti dipendono da una combinazione di fattori genetici ed ambientali''.
Sono quindi i fattori ambientali che possono fare la differenza, infatti l'ambiente sociale e famigliare di un adolescente puo' sia esacerbare sia smussare gli effetti negativi che i geni hanno sul comportamento.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/150253.php

venerdì 15 maggio 2009

L'espressivita' degli adolescenti depressi

Gli adolscenti che non riescono ad esprimere le loro emozioni sono piu' esposti ai sintomi depressivi. Questo studio e' stato pubblicato sul British Journal of Developmental Psychology.
Lo studio, condotto da Jennifer Betts, Eleonora Gullone e Sabura Allen del Monash University di Melbourne, ha riguardato le strategie di regolazione delle emozioni di 44 adolescenti di eta' compresa tra 12 e 16 anni con un elevato livello di sintomi di depressione messe a confronto con quelle di 44 adolescenti senza alcun sintomo.
''Abbiamo scoperto che gli adolescienti con i sintomi depressivi sopprimono l'espressione delle loro emozioni in misura significativamente maggiore dei loro pari non depressi. Gli adolescenti non depressi, inoltre, riportano alti livelli di ''rielaborazione cognitiva'', infatti questi individui ripensando a eventi e situazioni negative, le rielaborano cercando delle soluzioni e/o aspetti positivi. Per esempio, piuttosto che vedere il giudizio negativo di un compito come segno di fallimento, preferiscono vederlo come un occasione per migliorare le loro performance future'' dice Eleonora Gullone.
''Siccome la depressione e' un disturbo debilitante e' necessario comprendere di piu' le strategie di regolazione delle emozioni che vengono usate dagli adolescenti depressi. In questo modo abbiamo l'opportunita' di sviluppare terapie psicologiche che mirano a risolvere i problemi legati a queste strategie ed a ridurre i pensieri negativi tipici dei depressi.'' aggiunge.
Lo studio svela, inoltre, che molti adolescenti hanno ricevuto minori cure o hanno avuto genitori iperprotettivi rispetto al gruppo dei non depressi. Da questa ricerca, pero', non e' chiaro se lo stile dei genitori sia la causa o il risultato dei sintomi depressivi degli adoloscenti.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/149601.php

Suicidio in Groenlandia

In Groenlandia (foto a destra) il tasso di suicidi aumenta durante l'estate. Il picco maggiore si ha in giugno. I ricercatori affermano inoltre che il fenomeno e' dovuto all'insonnia causata durante le incessanti ore di luce. La ricerca e' pubblicata su BMC Psychiatry.
Karin Sparring Björkstén del Karolinska Institutet (Svezia), con il suo team, ha studiato i suicidi in Groenlandia dal 1968 al 2002 in relazione alle variazioni stagionali del Paese. Il team ha scoperto che c'e' una maggiore concentrazioni di suicidi proprio nei mesi estivi e che quest'effetto e' maggiore nel North del Paese, in un'area dove il sole non tramonta mai tra la fine di aprile e la fine di Agosto.
Björkstén dice che la Groenlandia e' il Paese in cui le condizioni di vita degli abitanti sono piu' esteme proprio a causa dei fenomeni legati al susseguirsi delle stagioni. La Groenlandia e' uno dei primi paesi al mondo per tasso di suicidi. I suicidi esaminati sono stati quasi esculusivamente violenti e maggiori durante i giorni di luce costante. Nel nord del Paese ben l'82% dei suicidi si e' registrato in questi mesi.
La maggior parte dei suicidi ha riguardato giovani di sesso maschile e come si e' detto utilizzando nel 95% dei casi metodi violenti, come l'arma da fuoco, l'impiccagione e la precipitazione. Non sono stati riscontrati, invece, variazioni stagionali dei suicidi a seguito dell'eccessivo consumo di alcool. I ricercatori suppongono che le ore di luce generano squilibri del sistema serotoninergico e questo porterebbe ad un incremento dell'impulsivita' che, in combinazione con la mancanza di sonno, puo' determinare il maggior numero dei suicidi durante l'estate. I ricercatori dicono che le persone che vivono alle latitudini piu' alte necessitano di estrema flessibilita' per adattarsi al fenomeno. Durante i periodi di luce costante e' necessario mantenere invariati i propri ritimi circadiani in modo tale da avere sufficienti ore di sonno che sono indispensabili per la salute mentale. Il fragile sistema serotoninergico puo' causare difficolta' di adattamento.
''La luce e' solo uno dei tanti fattori implicati nella complessa tragedia del suicidio, ma questi studi dimostrano che una correlazione tra i due e' comunque significativa.'' conclude la Björkstén.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/149409.php

giovedì 7 maggio 2009

Migliorare le capacita' cognitive attraverso l'allenamento

Gli anziani possono migliorare memoria ed attenzione attraverso l'esercizio. Questo e' il risultato di uno studio presentato al meeting annuale dell'American Geriatrics Society a Chicago.
Elizabeth Zelinski, prof.ssa alla Southern Univeristy della California e che ha condotto lo studio, ha provveduto a dimostrare anche che l'aumento delle capacita' mnestiche dei soggetti e' duraturo, persino alcuni mesi dopo la cessazione dell'attivita' di allenamento.
Allo studio ha partecipato un campione casuale di 487 adulti in piena salute, con un eta' media di 65 anni. Meta' di loro sono stati assegnati al gruppo sperimentale che prevedeva l'allenamento, attraverso un software, di 40 ore settimanali per 8 settimane. L'altra meta' dei soggetti (il gruppo di controllo) ha passato lo stesso tempo assistendo ad alcune conferenze e rispondendo a quiz.
Lo studio ha trovato che la velocita' dei processi mentali di coloro i quali avevano partecipato al training attraverso l'ausilio del software, era incrementata piu' del doppio, con un incremento medio del 131%. Essi inoltre hanno un incremento delle capacita' di memoria e di attenzione in media pari a 10 anni in meno di eta'. Questi cambiamenti sono stati sufficienti da permettergli di avere dei significativi benefici durante le quotidiane attivita' nella vita di tutti i giorni (come ricordare i nomi o riuscire a partecipare alle conversazioni in ambienti rumorosi senza essere distratti). L'aumento delle capacita' del gruppo sperimentale sono state clinicamente significative, mentre quelle del gruppo di controllo sono state significativamente minori e non clinicamente significative.
Il software utilizzato, chiamato The Brain Fitness Program, e' stato sviluppato da un team internazionale di neuroscienziati e prevede 6 esercizi. Il prodotto e' basato sulle scienze relative alla plasticita' cerebrale, ossia l'abilita' del cervello di formare nuove connessioni in risposta a diversi tipi di stimoli.
Marlene Allen, di 75 anni, di Mill Walley, in California, che ha partecipato all'esercizio dice:
''Adesso non devo preparare la lista della spesa scrivendo sul foglio di carta quello che devo comprare. Ne avevo bisogno prima di andare in negozio. Adesso, quasi mai mi capita di recarmi in una stanza della mia casa e dimenticarmi perche' ci ero andata.''
''I cambiamenti che abbiamo visto nel gruppo sperimentale sono stati notevoli e significativamente maggiori rispetto al gruppo di controllo.'' dice la Dott.ssa Zelinski ''Dal punto di vista dei ricercatori l'aumento delle capacita' dei soggetti e' stato davvero impressionante, perche' la gente ha migliorato maggiormente con l'allenamento e questi miglioramenti, basati su misure standard delle capacita' di memoria, hanno avuto un forte impatto sulla loro vita. Questo significa che il declino cognitivo non e' una parte inevitabile della vita dell'uomo. Svolgendo attivita' cognitive specifiche possiamo migliorare le nostre abilita' a prescinedere dalla nostra eta'.''
Questo studio, che prende il nome di IMPACT, e' stato il piu' grande studio mai condotto sui programmi di allenamento del cervello disponibile al pubblico ed e' stato il primo ad essere pubblicato su una rivista medica specializzata, dove vengono illustrati i miglioramenti di memoria ed attenzione. E' stato pubblicato infatti nel numero di Aprile del Journal of the American Geriatrics Society. Le nuove scoperte inoltre dimostrano che i benefici dovuti all'aumento delle capacita' riscontrate persistono persino per tre mesi dopo la fine del training.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/148519.php

martedì 5 maggio 2009

Il litio puo' ridurre il rischio suicidio

Un bassissimo livello di litio (foto a destra) disciolto nell'acqua potabile puo' aiutare a prevenire il suicidio.
Lo studio in questione e' stato prontamente utilizzato per le furture ricerche in merito alla possibilita' di aggiungere del litio all'acqua potabile proveniente dalle comuni forniture.
I ricercatori dell'Universita' dell'Oita in Giappone, hanno misurato il livello di litio nell'acqua potabile, la comune acqua del rubinetto, in 18 citta' nella regione dell'Oita. I livelli di litio andavano da circa 0.7µg/l (microgrammi per litro) a 59µg/l.
In seguito i ricercatori hanno calcolato il tasso di suicidio nelle stesse 18 citta' ed hanno notato che il tasso di suicidi in quest'area era significativamente inferiore a fronte di concentrazioni superiori di litio nell'acqua.
La ricerca e' pubblicata sul numero di maggio del British Journal of Psychiatry dove un ricercatore dice che lo studio suggerisce che bassissimi livelli di litio nell'acqua che beviamo possono abbassare il rischio di suicidio. Quindi bassissimi livelli di litio possono avere un affetto ''antisuicida''.
Il litio e' un metallo alcalino che si trova naturalmente in quantita' variabile nel cibo e nell'acqua. Nella medicina, piccolissime dosi di questo elemento sono usate per trattare i disordini bipolari ed i disturbi dell'umore, ma non si era mai arrivati a pensare che il litio potesse avere effetti sulla riduzione del rischio di suicidio perche' prima di questa ricerca non si era studiato cosi' da vicino il legame tra suicidio e litio.
Il professor Allan Young, psichiatra, ha descritto lo studio come intrigante.
Commentanto sul British Journal of Psychiatry lo studio giapponese egli dice:
''Il primo passo logico sarebbe che il Consiglio Medico di Ricerca convochi una riunione di esperti per esaminare le prove disponibili e per stimolare future ricerche.
Potrebbero essere fattibili degli esperimenti su larga scala che comportino l'assunzione di litio attraverso l'aggiunta del minerale alle acque potabili, sebbene azioni di questo tipo dovrebbero indubbiamente essere sottoposte a dibattito. Gli studi successivi a questa scoperta non saranno ne chiari ne economici, ma i benefici per la salute mentale della comunita' generale potrebbero essere considerevoli.''

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/148872.php

domenica 3 maggio 2009

Perche' agli studenti non piace andare a scuola?

A volte, sia gli insegnanti sia i genitori si chiedono:
- ''Perche' agli studenti non piace andare a scuola?''.
Anche molti studenti se lo chiedono quando lottano per stare attenti in classe, in attesa del suono liberatorio della campana, che gli consentira' di dedicarsi alle cose alle quali sono davvero interessati.
''Se chiedessimo a 100 studenti delle scuole superiori di dirci se a loro piace imparare cose nuove, probabilmente quasi tutti risponderanno che a loro piace'', dice Daniel Willingham, psicologo cognitivo dell'Universita' della Virginia ''ma se facessimo la stessa domanda mentre gli stessi studenti sono a scuola, molti di loro risponderebbero il contrario''.
Il dott. Daniel Willngham ha descritto queste problematiche nel libro ''Why don't students like school?'' dove spiega come funziona la mente in queste occasioni e qual'e' il significato di ''classe''.
''La mente e' effettivamente disegnata per evitare di pensare'' dice Willingham ''L'attivita' di pensare richiede un processo lento; questo processo e' difficoltoso e perfino incerto. Naturalmente evitiamo questa attivita' ed invece ci affidiamo alla memoria soprattutto per le cose che gia' sappiamo fare e che sono state gia' fatte con successo altre volte.''
''Se volessimo cucinare degli spagetti al sugo di pomodoro, per esempio, dovremmo cercare la ricetta in internet o sul libro di cucina e preparare la pietanza utilizzando l'esatta procedura descritta. Molte persone, invece, preparano gli spaghetti esattamente allo stesso solito modo, perche' gia' sanno come fare. Ed ovviamente questo e' molto piu' semplice da fare.''
Qual'e' dunque la ragione per cui agli studenti non piace la scuola? Perche' sono forzati a pensare, ad accettare le sfide, ad imparare nuove cose e, quindi, sforzarsi di fare quello che cercano di evitare, cioe' pensare appunto.
Questo vale solo fino ad un certo punto, pero'. La gente e' anche curiosa a volte.
''Alla gente piace pensare, quando questa attivita' e' ad un livello tale da essere non troppo semplice e non eccessivamente difficoltosa.'' dice Willingam. ''Alla gente piace essere sfidata, ecco perche' giochiamo con i vari giochi, leggiamo libri, facciamo molte delle cose che facciamo. Cosi c'e' un punto di equilibrio in cui l'apprendimento non e' ne' troppo semplice da rendere poco interessanti le cose da apprendere, ne' troppo difficile per essere godibile. Questo' e l'equilibrio che gli insegnanti cercano sempre di trovare per i loro studenti.''
E' qui che si inserisce l'insegnamento creativo che usa una combinazione di narrazione, che evoca emozioni e pensieri, ed esercizi che inseriscono la lezione nel contesto e che sono costruiti sulle sessioni di apprendimento precedenti. Willingham dice che le abilita' di pensiero creativo dipendono da conoscenze fattuali.
''Alla fine vogliamo creare esperienze di apprendimento'' dice.
Willingham ha speso circa 15 anni della sua carriera come scienziato in ricerche in ambito cognitivo, conducendo anche studi in laboratorio. Ha cominciato discutendo con gruppi di docenti e scoprendo che i risultati ottenuti in laboratorio erano molto interessanti per gli insegnanti durante la loro attivita' quotidiana.
Gli insegnanti spesso gli rivolgono sempre la domanda relativa al modo in cui apprendono gli studenti con stili di apprendimento differenti.
''Ci sono differenti abilita', ma realmente, il modo con cui apprendiamo nuove informazioni e' sempre lo stesso'' dice. ''Il processo di apprendimento non dipende solamente dall'emisfero destro del cervello piuttosto che dal sinistro, o dalla corteccia visiva o uditiva o dalle abilita' cinestetiche. Impariamo usando una combinazione di capacita', ed il nostro stile di apprendimento e' piuttosto simile che differente.''
Gli studenti, naturalmente, imparano meglio nelle aree o nelle discipline dove le loro abilita' sono carenti. La chiave degli insegnanti, e degli studenti, e' quella di trovare il giusto punto di equilibrio in cui l'apprendimento rappresenta una sfida che ci spingera' a fare di piu' rispetto al solito modo con cui prepariamo gli spaghetti al pomodoro.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/147470.php

giovedì 30 aprile 2009

Lavorare bene sotto pressione

Molta gente lavora meglio quando ha scadenze molto strette da rispettare, ma un nuovo studio, pubblicato nell' International Journal of Innovation and Learning, suggerisce che e' un errore pensare che un team di lavoro possa lavorare costantemente sotto pressione e rimanere allo stesso tempo focalizzato sul lavoro e lavorare con efficienza.
Ari Putkonen, esperto di progettazione del dipartimento di Ingegneria Industriale e Management dell'Univerista' di Oulu, in Finlandia, spiega che gli approcci convenzionali alla progettazione del lavoro possono fallire perche' non tengono in sufficiente considerazione i cambiamenti dell'efficienza ed innovazione dei membri che compongono i singoli team di lavoro durante lo svolgimento del compito affidatogli.
Putkonen ha simulato e predetto degli effetti dinamici del carico di lavoro causati dalla pressione sul gruppo di lavoro. Considerando la gestione del progetto, l'ergonomia del lavoro e studi precedenti in merito alla salute delle persone in attivita' lavorativa, elementi costituenti la struttura di base del suo studio, egli ha scoperto che la pressione lavorativa ed il carico di lavoro incidono pesantemente sia sulla performance generale, sia sulla qualita' del lavoro, sia sull'innovativita' del gruppo di lavoro. Allunga, inoltre, il tempo impiegato per svolgere l'intero progetto.
Putkonen, in primo luogo, spiega che il carico di lavoro mentale, la pressione e le scadenze impellenti possono avere effetti positivi sulla produttivita'. Nella frase ''lavoro meglio sotto pressione'' e' racchiusa una saggezza convenzionale, specie per quegli individui creativi e membri di team di progettazione e relative aree dove spesso per raggiungere il successo, il fattore critico e' proprio il tempo. Comunque i benefici hanno solo un impatto positivo nel breve termine, come gli studi di Putkonen dimostrano.
Egli ha dimostrato che ci sono dei potenziali effetti negativi nel lungo periodo perche' la pressione spesso determina una maggiore fatica mentale la quale provoca danni alla qualita' e produttivita' del lavoro. In aggiunta, la fatica mentale provoca una minore concentrazione sul lavoro e questo riduce l'innovativita' del gruppo di lavoro.
Il fallimento nel riconoscere questi effetti (l'esplosione iniziale dell'efficienza e il latente avanzamento della fatica mentale) porta ad errate previsioni e valutazioni in merito ai bisogni di risorse umane. Effetti simili possono riguardare anche i manager e i team leader in quanto potrebbero essere spinti a fare valutazioni e previsioni super-ottimistiche per quanto riguarda il tempo di realizzazione del lavoro e questo potrebbe ridurre il morale del team quando queste scadenze non vengono rispettate.
Putkonen suggerisce che i gruppi di lavoro hanno bisogno di un management che sia in grado di bilanciare le richieste lavorative derivanti dal compito e le risorse che ogni individuo impiega per farvi fronte.
''La simulazione dinamica di modelli di sviluppo, in questo studio, simula progetti per lo studio sia del benessere dei lavoratori sia per i punti di vista dei manager'' spiega. ''Le previsioni ottenute sulla durata dei progetti di lavoro sono molto piu' realistiche di quelle ottenute con gli approcci e metodi convenzionali di progettazione del lavoro. Questo risulta importante soprattutto per il management in quanto consente di comprendere gli effetti della pressione lavorativa durante il corso di un esigente e lungo progetto di lavoro.'' conclude.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/147561.php

venerdì 24 aprile 2009

Se vivi all'estero hai piu' creativita'

Vivere in un'altra nazione puo' costare caro, ma una nuova ricerca suggerisce che puo' essere molto utile per espandere la nostra mente. Questa ricerca, pubblicata dall' American Psychological Association, e' la prima che cerca una correlazione significativa tra la creativita' e le esperienze di vita all'estero.
''Per gli artisti, il contatto con le altre culture ed, in generale, le esperienze di vita in altri Stati, sono indispensabili per stimolare la loro immaginazione o per perfezionare le loro doti. La domanda quindi e': vivere all'estero fa diventare piu' creativi?".
Il dott. William Maddux, assistente professore di comportamento organizzativo all' INSEAD, con campus in Francia e Singapore ha cercato di rispondere al quesito.
''E' una domanda che ci poniamo da lungo tempo e ci sentiamo di essere in grado ci cominciare a darvi una risposta attraverso la ricerca''.
Maddux e Adam Galinsky, professore alla Kellogg Shool of Management della Norhwestern University, hanno organizzato un esperimento che da' l'idea che le esperienze all'estero siano correlate alla creativita'. La prova cruciale ha visto coinvolti 5 studenti. Lo studio apparira' sul numero di Maggio del Journal of Personality and Social Psychology, pubblicato dall'American Psychological Association.
In un esperimento, gli studenti del master di Business Administration dovevano risolvere il problema delle candele descritto da Karl Duncker, un test classico per testare l'istinto creativo. In questo problema, agli individui vengono presentati tre oggetti (una candela, un pacco di fiammiferi ed un pacco di puntine da disegno) posti su un tavolo, vicino ad una parete di cartone. Il compito consiste nell'attaccare la candela al muro in modo tale che, dopo l'accensione, essa bruci in modo adeguato, senza che le gocce cadino a terra o sul tavolo. Per la soluzione corretta e' necessario utilizzare la scatola delle puntine come un portacandela (si dovrebbe svuotare la scatola, fissarla al muro di cartone con una puntina e porvi dentro la candela).
La soluzione e' considerata una misura di intelligenza creativa perche' e' necessaria una certa abilita' nel vedere gli oggetti presentati con una funzione differente rispetto a quella che comunemente conosciamo (la scatola non e' solo un contenitore di fiammiferi o puntine, ma si puo' trasformare in supporto per la candela). I risultati dimostrano che gli studenti che hanno vissuto all'estero sono piu' abili nel trovare la soluzione creativa corretta.
In un'altro esperimento, che ha coinvolto studenti diversi rispetto ai primi, ma sempre appartenenti alla stessa scuola, i recercatori hanno usato un test differente che riguardava una vendita simulata di gas. In questa trattativa, l'accordo basato solamente sul prezzo di vendita era impossibile da raggiungere perche' il prezzo minimo imposto dal venditore era piu' alto del prezzo massimo che il compratore era disposto a pagare. In ogni caso, siccome le due parti mostravano interesse reciproco a concludere l'affare, l'accordo si sarebbe dovuto raggiungere solo attraverso una soluzione alternativa (creativa) che avrebbe soddisfatto entrambe le parti.
Ancora una volta, i negoziatori con esperienze di vita all'estero erano piu' propensi a raggiungere l'accordo con la controparte utilizzando idee creative ed originali. In entrambi gli studi, quello che ha fatto la differenza non e' stato il tempo speso per viaggi all'estero, ma proprio le esperienze di vita. Queste esperienze sono maggiormente correlate alla creativita'.
Maddux e Galinsky hanno continuato i loro studi per capire perche' queste esperienze di vita incidono cosi' tanto sulla creativita' delle persone. Con un gruppo di studenti dell'MBA dell'INSEAD in Francia hanno scoperto che molti studenti si erano adattati alla cultura straniera del Paese in cui vivevano, e risolvevano, quindi, piu' facilmente il test delle candele di Duncker.
''Questo studio dimostra che esiste qualche sorta di trasformazione psicologica, che determina l'ampliamento della creativita', quando la gente vive in un Paese diverso dal proprio. Questo puo' accadere quando le persone si impegnano attivamente per adattarsi alla nuova cultura'', dice Galinsky.
Sebbene questi studi dimostrano un forte legame tra la creativita' e l'estero, non provano che l'adattamento ad un'altra cultura, a seguito di esperienze di vita, effettivamente determini questa maggiore capacita'.
''Non potremmo assegnare, in modo casuale, alcune persone a vivere all'estero ed altre a vivere nel proprio Paese, per testare l'effetto delle esperienze di vita fuori dal proprio contesto'', dice Maddux.
Quindi per comprendere meglio questa correlazione e per darsi delle risposte certe, i due autori hanno utilizzato una tecnica chiamata ''priming''. In due esperimenti, hanno chiesto ad un gruppo di studenti laureati alla Sorbona di Parigi di ricordare e descrivere un'esperienza che avevano avuto durante il soggiorno oppure di ricordare un sforzo che avevano fatto per adattarsi alla cultura francese; ad un altro gruppo, invece, hanno chiesto di descrivere altri tipi di eseprienze come la spesa al supermercato, l'apprendimento di un nuovo sport o semplicemente l'osservazione, ma non l'adattamento, della nuova cultura.
I risultati ottenuti dimostrano che, per rievocare mentalmente le loro esperienze di vita passate o rievocare delle esperienze fatte (e sforzi) nel tentativo di adattarsi alla nuova cultura, almeno temporaneamente, questi studenti erano piu' creativi. Per esempio, disegnavano lo spazio popolato da alieni e/o risolvevano i giochi di parole molto piu' creativamente rispetto agli studenti che avevano rievocato esperienze di vita diverse.
''Questa ricerca puo' dirci qualcosa circa il crescente impatto della globalizzazione sul mondo, un fatto che ha avuto forti ripercussioni durante questo periodo di crisi'', dice Maddux. ''Sapendo che le esperienze di vita all'estero sono critiche per gli output creativi di ogniuno di noi, seguire programmi di studio all'estero o lavorare in altri Stati, e' molto importante, specialmente per le persone, ma anche per le societa' che distribuiscono premi sulla creativita' e sull'innovazione per rimanere competitive''.

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/147490.php