domenica 25 ottobre 2009

Violenza di coppia: metodo disadattivo per risolvere i conflitti

La violenza tra coppie e' spesso il risultato di un processo di presa di decisione ed il partner violento continuerà ad esserlo fino a quando il prezzo da pagare non sara' troppo elevato.
Questa e' la conclusione di un nuovo studio della Dott.ssa Elia Perkins dell' Universita' di Haifa.
''Il partner violento potrebbe concepire il suo comportamento come una ''perdita di controllo'', ma lo stesso individuo, non sorprendentemente, non perderebbe le staffe e non agirebbe allo stesso modo con gli amici o con il capo ufficio'', spiega.
Nel suo studio, condotto sotto la supervisione del Prof. Zvi Eisikovits e Dottor Zeev Winstok della School of Social Work dell'Universita' di Haifa, la Dott.ssa Perkins dice che in molti casi le coppie continuano a vivere insieme e sostengono un'unita' famigliare condivisa; e' importante quindi capire le dinamiche sottostanti a simili relazioni in modo da poterle affrontare e risolvere.
In primo luogo la Dott.ssa Perkis ha suddiviso la violenza familiare in quattro livelli di gravità:
  1. le aggressioni verbali
  2. minaccie di aggressione fisica
  3. aggressione fisica moderata
  4. aggressione fisica grave
''Questi quattro livelli si succedono in seguenza. Un individuo che utilizza la violenza verbale potrebbe piu' tardi minacciare l'aggressione fisica e da qui adottare l'azione minacciata vera e propria''.
La dott.ssa comunque evidenzia che il risultato di questo studio dovrebbe non essere correlato ai casi di omicidio, perche' nella fattispecie, le dinamiche tra le coppie sono differenti e simili mortali aggressioni non sono state ricomprese nella catena di atti violenti esaminati.
I ricercatori trovano che nelle relazioni tra i partner, l'utilizzo di uno dei quattro livelli di violenza risulta essere calcolato; e' come se, la violenza costituisse uno stumento per risolvere il conflitto tra i due.
''Non e' che le coppie pianificano a tavolino cosa e come si insulteranno o come picchieranno il partner, ma sembra che ci sia una sorta di tacito accordo tra i due in cui i limiti di violenza sono reciprocamente tollerati, dove e' tracciata una linea rossa al di la' della quale il comportamento violento potrebbe diventare pericoloso'', spiega.
Aggiunge anche che, quando parliamo di violenza fisica, nellla maggior parte delle volte ad opera degli uomini, diciamo che il partner violento capisce che per uno schiaffo probabilmente non correra' un rischio elevato, mentre per violenze piu' severe, non incluse nelle dinamiche ''normative'' tra i due, egli potrebbe pagare un prezzo piu' alto; per questo si continua a mantere un comportamento simile ogni volta.
''La definizione di ''prezzo piu' alto'' potrebbe comprendere il rischio di essere abbandonati dal partner che ha subito il danno o la denuncia alla polizia. Quindi si puo' dire che il comportamento violento non e' il risultato di perdita di controllo ma entrambe le parti sono consapevoli di dove arriva la linea rossa che e' stata tracciata, persino se un simile accordo non e' stato mai verbalmente stretto tra i due'', afferma.
Come dice la Dott.ssa Perkis e' importante sottolineare che comportamenti violenti non sono la norma, sono illegali ed ovviamente immorali. Quindi e' solo il partner violento responsabile e colpevole dell'atto perpetrato ai danni dell'altro. Tuttavia, una volta che abbiamo compreso che la violenza viene usata come uno strumento per risolvere i conflitti di coppia che e' interessata a stare insieme, possiamo aiutare i due a sublimare simili comportamenti fornendo loro mezzi adattivi per affrontare la fonte delle tensioni e conflitti della loro vita insieme.
''Nella terapia di coppia per partner che esprimono la volonta' di stare insieme, bisogna focalizzare l'attenzione sull'identificazione degli illegittimi moventi, come le tacite azioni non normative per risolvere il conflitto, assistendo la coppia ad acquisire l'abilita' di convertire i pattern distruttivi e destabilizzanti del loro comportamento in pattern efficaci e positivi per condurre in modo migliore le loro vite'', concludono i ricercatori.

Fonte:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/167982.php

domenica 11 ottobre 2009

Depressione ed obesita'

Le persone che soffrono di depressione, ansieta' e altri disordini della salute mentale sono maggiormente predisposti all'aumento di peso e a diventare obesi rispetto alle persone che non accusano questi problemi.
I ricercatori hanno seguito piu' di 4000 lavoratori Britannici per almeno due decadi in uno dei piu' importanti studi mai condotti per esaminare l'impatto che la salute mentale ha sull'obesita'.
Dalla ricerca si evince che le persone con episodi cronici o ripetuti di depressione, ansietà, o altre problematiche legate alla salute mentale erano piu' a rischio di obesita' lungo il corso dei 19 anni di studio.
Le persone con sintomi di uno o piu' disordini mentali, per ben tre volte durante lo studio, sono risultati il doppio a rischio di obesita' al controllo finale rispetto a quelli che non hanno mai riportato simili sintomi.
Questo studio e' apparso sul BMJ Online First.
''Siamo partiti consideranto le persone non obese. Abbiamo osservato che il rischio di diventare obesi alla fine dello studio era ampiamente correlato con il numero delle volte che veniva riportato un caso di disordine mentale. Quindi abbiamo pensato che ci fosse un'associazione tra questo tipo di patologie mentali e l'aumento di peso.'' dice Mika Kivimaki, ricercatore della University College di Londra.
Lo studio ha incluso 4363 lavoratori tra i 35 ed i 55 anni arruolati a meta' ed alla fine degli hanni 80.
L'esame della salute mentale e delle condizioni fisiche e' stato condotto all'ingresso dei soggetti sperimentali e altre tre volte durante lo studio che ha 19 anni di media. L'esame fisico include la misura di peso, altezza e indice di massa corporea.
A seguito dell'adeguamento dei fattori di rischio sconosciuti per l'obesita', come l'uso di psicofarmaci associati all'aumento di peso, le persone che avevano dei sintomi di depressione, ansieta' o altre problemi legati alla salute mentale all'inizio dello studio risultarono piu' a rischio rispetto a quelli che non lo erano.
L'obesita' pero' non incrementa significativamente il rischio di depressione, ansieta' e simili disturbi mentali come lo studio, complementariamente dimostra.
''Quando noi osservammo questo e analizzammo altre prospettive di ricerca chiedendoci se l'aumento di peso fosse legato alla malattia mentale, il legame non fu immediatamente chiaro.'' dice Kivimaki. ''Non significa che ci sia un'associazione, ma questa sembra essere debole nel nostro studio''.
Gregory E. Simon, psichiatra di Seattle dice invece che le prove che legano l'obesita' alla depressione sono notevoli, ma la direzione dell'associazione non e' chiara.
''Ci sono plausibili ragioni per credere che la depressione incrementi il rischio di obesita' e altre plausibili ragioni per credere che l'obesita' incrementi il rischio di depressione'' dice '' Credo che si verifichino entrambe le condizioni''.
Lo studio di Simon pubblicato nel 2006, suggerisce che l'associazione e' reciproca.
L'aumento dell'appetito e la minore attivita' fisica sono comuni sintomi di una depressione che porta all'aumento di peso mentre i pregiudizi legati all'obesita' possono portare alla depressione.
Egli osserva che il tasso di obesita' della popolazione degli Stati uniti e' va dal 25% al 30%, mentre il tasso di obesita' delle persone con una significativa depressione e' due volte maggiore.
''L'obesita' e' la norma con la depressione, cosi e' difficile separare l'una dall'altra.'' dice Simons
''Uguale e' dire che le persone depresse hanno piu' problemi coniugali e le persone con problemi coniugali hanno una maggiore depressione. Ci sarebbe bisogno di un bel coltello tagliente per separare le due cose''.

Fonte:
http://www.webmd.com/mental-health/news/20091006/depression_anxiety_linked_weight_gain?src=RSS_PUBLIC