lunedì 30 marzo 2009

Il consumo di cannabis predispone alle psicopatologie

Il consumo giornaliero di cannabis predispone alla comparsa di alcune psicopatologie come le psicosi e la schizofrenia. Queste manifestazioni patologiche, frutto di questa sostanza, presentano certe specifiche caratteristiche, entrambe prima della comparsa clinica della patologia. E' una delle conclusioni argomentate dal ricercatore Miguel Ruiz Veguilla, dell'Istituto di Neuroscienze di Granada (Spagna) nella tesi per il dottorato dal titolo ''Neurosviluppo e stress ambientale all'origine della psicosi: analisi trasversale (Neurodevelopment and environmental stress in initial psychosis: transversal analysis of the ESPIGAS study). Lo studio e' stato condotto sotto la supervisione dei Professori Manuel Gurpegui Fernàndez de Lagaria e Jorge Cervilla Ballesteros. Ruiz Veguilla inoltre e' anche responsabile dell'Unita' di Neuropsichiatria dello sviluppo di Jaén (Spagna).
La ricerca ha studiato i fattori di rischio associati alla schizofrenia, identificando e classificando in dettaglio quelle psicosi associate al continuo consumo di cannabis. Lo studio ha riguardato 92 soggetti, di cui 50 ha sviluppato una psicosi senza la presenza di pregressi segni di un anormale neurosviluppo. I 50 soggetti non avevano mostrato in precedenza difficolta' nell'apprendimento scolastico, appartenevano a gruppi di amici non isolato socialmente e presentavano una buona cordinazione motoria. In aggiunta, non avevano avuto storie familiari caratterizzate da episodi di psicosi.
Si e' giunti a identificare una connessione tra il consumo della sostanza e le psicosi di questi individui, sebbene, prima della comparsa dei sintomi della patologia, il gruppo aveva fatto registrare buone prestazioni e capacita' senza, peraltro, nemmeno la presenza di segni di minori alterazioni neurologiche. Questo, secondo i ricercatori, potrebbe indicare ''una via psicopatologica che sfocia nella psicosi in soggetti con una minore predisposizione alla patologia''.
Il 66% dei pazienti affetti da psicosi che ha partecipato allo studio e che ha avuto un normale neurosviluppo, ha ammesso di aver assunto cannabis giornalmente o quasi tutti i giorni, mentre il 43 % dei partecipanti con un neurosviluppo alterato ha consumato ugualmente questa droga. (gli individui in questione, sono soggetti con cattive performance nell'apprendimento scolastico, con inopportuni comportamenti sociali, maldestrezza nelle attivita' di coordiazione motoria e con una storia familiare che comprende soggetti precedentemente affetti da psicopatologia.)
Alla luce dei risultati della sua tesi, il dott. Miguel Ruiz Veguilla dice che, dopo aver identificato i tipi di psicosi legati a fattori ambientali determinanti, si dovrebbe essere in grado di conoscere la prognosi nel lungo periodo per questo gruppo che, come abbiamo visto, ha mostrato comportamenti idonei (ricordamo le buone performance) prima che il consumo di cannabis ne determinasse la psicopatologia.
I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati dai giornali ''Schizophrenia Research" e "European Psychiatry'', due dei piu' famosi al mondo nel settore, per la pubblicazione di ricerche in ambito scientifico.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/143757.php

domenica 29 marzo 2009

Alcolici ed interazione sociale

Se l'abuso di alcolici e' sempre sinonimo di malattie, il consumo lieve o moderato puo' diminuire il rischio di ischemie e di malattie coronariche. Altri studi precedenti, inoltre, hanno dimostrato che interagire con gli altri aiuta a ridurre la mortalita' e malattie a carico dell'apparato cardiocircolatorio.
Un ricerca giapponese sugli effetti dei fattori sociali in relazione al consumo di alcool e malattie cardiovascolari, ha messo in evidenza che i benefici sulla salute sono maggiori nelle persone che consumano l'alcool in interazione sociale.
I risultati della ricerca saranno pubblicati nel numero di giugno di Alcoholism: Clinical & Experimental Research e sono disponibili su Early view.
''In Giappone i consumatori di alcool si dividono in due differenti categorie,'' dice Hiroyasu Iso, professore di salute pubblica all'universita' di Osaka e autore dello studio. ''Una categoria di persone consuma alcolici in solitudine o la sera, a casa, con il resto della famiglia. L'altro gruppo, composto specialmente dagli uomini di affari di mezza eta', beve con i colleghi, amici, e vicini. Insomma, consumare alcool in compagnia e' comune.
''L'alcool puo' giocare un ruolo chiave'' aggiunge il professor Takeshi Tanigawa, professore nel dipartimento di salute pubblica alla Univerista' di Ehime, ''sia per socializzare sia per alcuni meeting di affari. Nelle aree urbane, gli alcoolici sono spesso usati per questo scopo. Nelle aree rurali, la gente spesso beve con le persone appartenenti alla stessa comunita'. Il consumo di alcool puo' servire a mantenere le relazioni sociali tra padre e figlio, giovane e anziano, comunita' e comunita'. Complessivamente, questi comportamenti possono aiutare a liberare dallo stress specialmente le persone che sono immerse in situazioni stressanti, come quelle che si creano nell'ambiente di lavoro''.
''Prima della nostra ricerca nessuno studio aveva vagliato se i fattori psicosociali influenzano il legame conosciuto tra il consumo di alcool e il richio di malattie coronariche.''
Il professor Iso e i suoi colleghi ha esaminato 19.356 uomini di eta' compresa tra 40 e 69 anni reclutati dal Centro di Salute Pubblica giapponese. Il loro consumo di alcool e' stato classificato in sette categorie: mai, di rado, occasionalmente, 1-149, 150-299, 300-449, uguale o maggiore di 450 grammi a settimana. I fattori utilizzati nella ricerca sono stati, ovviamente, il consumo di alcool, il rischio di malattie cardiovascolari e l'interazione sociale.
''Abbiamo trovato un ridotto rischio di malattie, ischemie, e malattie cardiovascolari associate al basso o moderato consumo di alcolici, soprattutto negli uomini in maggiore interazione con altri individui, probabilmente a causa dell'abbandono di comportamenti non salutari e una maggiore tendenza a tamponare lo stress.'' Dice il professor Iso. ''Nel nostro studio, coloro che, al contrario, non hanno un elevato livello di interazione sociale, sono soggetti che spesso hanno uno stile di vita non salutare, dovuto ad inattivita' fisica, disoccupazione e minori controlli medici. Inoltre questi soggetti sono maggiormente affetti da malattie cardiovascolari a causa di stress mentale. Lo stress mentale attiva componenti neuro-endocrine, includendo l'asse ipotalamo-pituitario-surrenale ed il sistema nervoso autonomo, che appunto sono responsabili dell'incremento del rischio di malattie cardiovascolari''.
''In breve'', dice Tanigawa, ''un moderato consumo di alcolici in compagnia e' ottimo per la salute. Bevendo con buoni amici ci fa sentire piu' contenti ed in salute. Quindi, beviamo con i nostri amici per la salute!'' Tanigawa raccomanda, inoltre, ai professionisti ed agli uomini di affari di frequentare locali con musica dal vivo, soprattutto karaoke, perche' aiuterebbe a tamponare lo stress. ''I cantanti usano respiri profondi, che sono ottimi per attivare la componente parasimpatica del sistema nervoso autonomo. Dopo aver cantato di solito ricevono applausi. Questo e' positivo per il sostegno sociale e aiuta ad affrontare le situazioni avverse o gli eventi stressanti.''
Il professor Iso conferma che il moderato uso di alcolici in interazione e' positivo per la salute. ''Ma ricordate che, i benefici effetti del consumo di alcool in relazione all'interagire con le persone che ci sono accanto, e' confermato solo per un consumo lieve o moderato.'' dice ''Il consumo eccessivo e' rischioso per la salute, indipendentemente dagli effetti dei fattori sociali illustrati. Crediamo che questo sia valido anche per le popolazioni di altre etnie''.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/143162.php

mercoledì 25 marzo 2009

Intelligenza, geni e mielina

Si dice che una foto puo' raccontare mille storie, ma puo' anche dirci quanto siamo intelligenti? Pare proprio di si!
I ricercatori dell'Universita' di Los Angeles (UCLA), usando un nuovo tipo di tecnica per la produzione di immagini del cervello, hanno dimostrato che l'intelligenza e' strettamente influenzata dalla qualita' della lunghezza degli assoni o dal circuito neurale che invia gli impulsi elettrici attraverso il cervello. Questo studio e' stato condotto dal neurologo Paul Thompson e dai suoi colleghi ed e' stato pubblicato sul numero di febbraio di Journal of Neuroscience. Piu' veloce, quindi, e' il segnale inviato dai neuroni e piu' velocemente l'informazione viene elaborata dal cervello. Inoltre, fino a quando l'integrita' del sistema nervoso e' influenzata da fattori genetici, questa influenza gioca un ruolo ancora piu' importante sui processi intellettivi, piu' di quanto si era supposto fino ad ora.
Sembra che i geni abbiano un'influenza sull'intelligenza attraverso la modulazione del processo di mielinizzazione degli assoni - la guaina che riveste gli assoni e permette una trasmissione piu' veloce dell'impulso elettrico. Piu' spessa e' la guaina mielinica e maggiore sara' la velocita' dell'impulso nervoso trasmesso dagli assoni.
Thompson e colleghi hanno analizzato l'attivita' cerebrale di 23 gemelli identici e 23 gemelli dizigoti. Dato che gemelli omozigoti posseggono gli stessi geni, mentre i gemelli dizigoti ne posseggono la meta', i ricercatori hanno utilizzato questo fattore per dimostrare che l'integrita' della mielina geneticamente distribuita in molte parti del cervello rappresenta la chiave dell'intelligenza. Le parti del cervello prese in considerazione sono il lobo parietale, deteminante per il ragionamento spaziale, logica e l'analisi dell'informazione visiva, ed il corpo calloso, il quale consente la comunicazioni tra i due lobi del cervello.
I ricercatori hanno usato uno strumento che prende il nome di HARDI (High-Angular Resolution Diffusion Imaging), una versione piu' potente della risonanza magnetica funzionale (fRMI) che riproduce in vivo le immagini di tessuti biologici. Questa tecnica, infatti, permette di avere immagini del cervello molto piu' ad alta risoluzione rispetto alla fRMI. Mentre la risonanza magnetica ci mostra il volume delle differenti aree del cervello attraverso la misurazione della concentrazione di acqua presente, l'HARDI segue la diffusione dell'acqua attraverso la materia bianca - un metodo che misura, quindi, la qualita' della sua mielina.
''L'HARDI misura la diffusione dell'acqua'' dice Thompson che e' anche membro del laboratorio di analisi dell' Universita'. ''Se l'acqua si diffonde rapidamente in una direzione, questo ci dice che il cervello ha delle connessioni molto rapide. Se, invece, l'acqua si diffonde lentamente, significa che le connessioni sono piu' lente e questo e' un sinonimo di minore intelligenza''.
''Questa tecnica ci consente di avere una misura della volocita' del cervello'', aggiunge.
Siccome la mielinizzazione dei circuiti cerebrali segue una traiettoria invertita ad U, avendo un picco nella mezza eta' per poi diventare piu' lenta e cominciando a declinare, Thompson crede che l'identificazione dei geni che promuovono l'alta integrita' della mielina rappresenti un passo decisivo per la prevenzione di malattie come la sclerosi multipla o l'autismo che sono legate proprio alla mancanza di mielina.
''Lo scopo dello studio e' quello di riuscire ad avere un'intuizione o un'idea da sviluppare in merito alle malattie del cervello'' dice Thompson.
Egli dice che il suo team ha gia' identificato uno stretto numero di geni che possono influenzare l'integrita' e la crescita della mielina.
Un giorno potrebbe essere trovata una terapia in grado di rendere piu' grande e piu' efficiente, la nostra intelligenza?
''Anche se davanti abbiamo una lunga strada questo e' sicuramente possibile'' conclude Thompson.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/142759.php
http://medgadget.com/archives/2009/03/hardi_scanner_says_intelligence_is_inherited.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Formazioni_commissurali_interemisferiche
http://it.wikipedia.org/wiki/Telencefalo
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/La_materia_bianca_del_cervello/1328625

lunedì 23 marzo 2009

Le cose buone della vita

La depressione e' associata a emozioni e pensieri negativi, ma un nuovo studio dimostra che il vero problema puo' essere il fallimento nell'apprezzare le esperienze positive della vita. I ricercatori dell'Univerista' dell'Ohio hanno dimostrato che, le persone depresse e quelle non depresse, non mostrano grandi differenze nell'apprendere le informazioni negative che si presentano nel corso dell'esistenza. Le persone depresse, invece, hanno mostrato notevoli difficolta' nell'apprendere le informazioni positive rispetto agli altri.
''Siccome la depressione e' caratterizzata dai pensieri negativi, e' facile pensare che le persone depresse apprendono meglio le lezioni negative della vita, ma questo non e' tutto del tutto vero!'' afferma il dott. Laren Conklin co-autore della ricerca e laureato in Psicologia all'universita' dell'Ohio.
Questo studio e' stato pubblicato sul numero di marzo del Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry.
Il gruppo sperimentale era costituito da 34 studenti, 17 dei quali rispondenti ai criteri di depressione clinica e 17 invece non depressi.
''Questo studio e' stato uno dei primi in grado di collegare i livelli clinici di depressione con gli atteggiamenti che le persone assumono quando vanno incontro a nuovi eventi e nuove informazioni vengono analizzate'' aggiunge Daniel Strunk, co-autore dello studio e assistente professore di Psicologia all'Universita' dellOhio.
Il prof. Strunk afferma che la chiave per comprendere questi meccanismi e' stata l'utilizzo di un gioco elettronico sviluppato nel 2004 nella stessa universita' da Russel Fazio, professore di Psicologia e co-autore di questo studio. Fazio e i suoi collaboratori, Natalie Shook, che ha conseguito il dottorato all'universita' dell'Ohio e che adesso lavora presso la Virginia Commonwealth University e J. Richard Eiser dell'Univerista' di Sheffield (Inghilterra), hanno usato questo gioco in differenti studi esaminando le differenze nella formazione degli atteggiamenti positivi e negativi.
Il gioco, chamato simpaticamente ''BeanFest'' (baldoria), prevede la presentazione di alcuni stimoli (fagioli) che appaiono sullo schermo del computer. I fagioli presentati possono essere buoni o cattivi, e questo dipende dalla forma e dal numero delle macchie che presentano sulla loro superficie.
I fagioli buoni fanno guadagnare punti, mentre quelli cattivi li fanno perdere. Ovviamente, come in ogni gioco, lo scopo e' quello di raccogliere piu' punti possibile. La ricerca prevedeva due fasi, la prima e' la fase del gioco e la seconda quella del test.
Mentre il gioco puo' sembrare insignificante e rivolto ad un ingenuo target di persone, Strunk dice che invece rappresenta un potente mezzo per studiare come la gente forma i propri atteggiamenti di fronte a situazioni nuove.
''Se in passato, i ricercatori avvessero voluto studiare le modalita' di formazione dei nuovi atteggiamenti della gente, questo sarebbe stato difficile da fare'' dice. ''Se i ricercatori avessero voluto concentrare la loro attenzione sui problemi reali della vita, la difficolta' maggiore avrebbe riguardato il fatto che il peso dell'esperienza avrebbe potuto influire sulla risposta dei soggetti alle nuove informazioni e situazioni. In questo gioco, gli individui non hanno alcuna conoscenza o atteggiamento precedentemente formato cosi' risulta piu' semplice comprendere come questi atteggiamenti si formano, senza nessuna interferenza dovuta all'esperienze passate.''.
Durante il gioco, gli individui avevano il compito di accettare o rifiutare i fagioli che sarebbero appparsi sullo schermo. E' chiaro che questo avrebbe comportato un aumento o una diminuzione del punteggio in base ai fagioli buoni o cattivi correttamente accettati o rifiutati.
I 34 fagioli sarebbero apparsi per ben tre volte sullo schermo, dando appunto ai partecipanti la possibilita' di apprendere la sequenza dei buoni e dei cattivi.
Successivamente, nella fase del test, i soggetti, avrebbero dovuto indicare i fagioli buoni (che avrebbero fatto incrementare il punteggio) e quelli cattivi (che avrebbe fatto diminuire il punteggio), mentre venivano loro mostrati nello stesso ordine di presentazione precedentemente appreso. I ricercatori posero nelle ultime posizioni della classifica coloro che avevano correttamente identificato sia i fagioli buoni sia quelli cattivi.
Gli studenti non depressi avevano individuato correttamente il 61% dei fagioli cattivi e questo riultato e' stato simile agli studenti categorizzati come depressi che ne avevano identificato il 66%.
Se ci si sofferma, pero', sui fagioli buoni, si vede che gli studenti non depressi ne hanno identificato il 60%, mentre i soggetti depressi solo il 49%. Quindi gli studenti non depressi sono stati piu' efficaci di quelli non depressi nell'identificazione dei fagioli buoni.
''Le persone depresse mostrano un'inclinazione contro l'apprendimento di informazioni positive, sebbene non abbiano alcuna difficolta' ad apprendere quelle negative.'' afferma Strunk.
La misura usata dai ricercatori in questo studio, permette, inoltre, la classificazione dei partecipanti in base al loro livello di depressione. Per cui troviamo studenti con episodi di depressione lieve, moderata e severa. In questa ricerca, coloro affetti da episodi di depressione severa, hanno fatto registrare una performance leggermente peggiore (la scelta dei fagioli buoni) di quelli con depressione moderata e questo non fa che rafforzare i risultati della ricerca.
Servono sicuramente molti piu' studi sulla depressione, ma Strunk e Conkin dicono che questo studio potrebbe suggerire nuove strade da perseguire nel trattamento delle persone depresse.
''Le persone depresse potrebbero avere la tendenza a ricordare solo le esperienze negative delle varie situazioni della vita e non quelle positve.'' dice Conkin. ''I terapisti hanno bisogno di sapere questo.''
''Per esempio, una persona depressa che sta provando un nuovo programma di allenamento, potrebbe solo parlare di come questo programma lo faccia sentire indolenzito e stanco e non potrebbe parlare del fatto che, grazie allo sforzo fisico sostenuto durante gli esercizi, il suo peso e' calato.''
''I terapisti dovrebbero aituare maggiormente i loro pazienti depressi facendo in modo che questi riconoscano e ricordino gli aspetti positivi delle loro nuove esperienze'' conclude Strunk.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/142802.php

domenica 22 marzo 2009

Benessere lavorativo e malattie cardiovascolari

I ricercatori dell'Universita' dello Stato del Kansas hanno trovato un legame tra benessere fisico e mentale, che sia i lavoratori sia i datori di lavoro possono capitalizzare per migliorare la salute di entrambi e pontenzialmente anche la ricchezza delle loro organizzazioni. La scoperta della relazione tra il benessere dei lavoratori e le malattie cardiovascolari e' stata pubblicata nel numero di febbraio del Journal of Organizational Behavior da Thomas A. Wright, professore di economia all'Universita' del Kansas.
Wright dice che il benessere fisico e quello psicologico dovrebbero essere considerati in temini di efficienza. Il benessere psicologico e' meglio considerato come rapporto di efficienza - la relativa presenza di sentimenti positivi e la relativa assenza di sentimenti negativi - dove appunto i migliori individui con un maggiore benessere psicologico sono coloro che riescono a bilanciare le emozioni negative con quelle positive.
Allo stesso modo, la ricerca di Wright utilizza una misura base dell'efficienza cardiovascolare che sfida il classico approccio che prevedeva l'utilizzo della pressione arteriosa sistolica come misura del lavoro cardiaco, e di quella diastolica come misura della restante fase tra i battiti cardiaci. La misura cardiovascolare diversificata e' definita in termini di rapporto di efficienza -la differenza tra la sistolica e diastolica pressione sanguigna, moltiplicata per la frequenza cardiaca e divisa per 100. In generale ed entro un normale range, i risultati che mostrano il piu' basso numero di pulsioni prodotte sono da considerarsi indici di maggiore efficienza.
Utilizzando un gruppo di controllo composto da lavoratori, Wright e colleghi hanno trovato che i valori delle misurazioni della pressione sistolica e diastolica non erano individualmente collegate al benessere psicologico, al contrario del numero delle pulsioni prodotte. Questi lavoratori con un maggiore, o piu' efficiente, livello di benessere psicologico, hanno fatto registrare anche un piu' basso, o piu' efficiente, punteggio delle pulsioni cardiache prodotte.
''Nel nostro studio troviamo che, persino dopo aver controllato l'eta' dei lavoratori, il sesso, la dipendenza dal fumo, il livello di istruzione, l'etnia, il peso, la soddisfazione nei confronti del lavoro e l'ansieta' -tutti fattori largamente correlati con la pressione sanguigna - il benessere dei lavoratori e' stato ancora un predittore significativo della salute cardiovascolare come misurata dal numero delle pulsioni prodotte'' dice Wright.
La scoperta, in via preliminare, indica che coloro con punteggi piu' elevati di pulsioni prodotte durante i loro anni 40 o dopo questa' eta' sono piu' soggetti al rischio di malattie cardiovascolari e dovrebbero considerare un consulto con il loro medico. Evidenzia, inoltre, l'importanza di considerare la salute cardiovascolare sotto una prospettiva di efficienza.
''Tipicamente, molta attenzione e' data al monitoraggio della pressione diastolica come indice per determinare il livello di salute cardiovascolare.'' Wright continua. ''Comunque siccome i lavoratori avanzano con l'eta', la pressione diastolica, in molti casi, tende a ridursi, o almeno a stabilizzarsi, mentre per la maggior parte di loro la pressione sistolica tende ad aumentare. Quindi focalizzarsi in modo stretto sulla lettura della pressione diastolica puo' portarci sulla strada sbagliata, perche' potrebbe mascherare un potenziale rischio di malattie cardiovascolari dei lavoratori, specialmente per quelli che hanno superato i 50.
Wright dice che questa e' una preocupazione in quanto le nascite sono calate e gli individui in eta' pensionabile stanno ritardando il ritiro dal lavoro proprio a causa della difficile situazione economica e questo significa un invecchiamento della forza lavoro.
La salute cardiovascolare dei lavoratori ha effettivi costi sia per le aziende sia per i lavoratori stessi. Le malattie cardiovascolari affliggono un americano su tre, e in un rapporto dell' American Heart Association si evidenzia che il costo nel 2007 e' stato di 432 miliardi di dollari. Il 60% di questa cifra e' dovuta alle spese mediche ed il restante 40% a perdite di produttivita'.
Wright dice che le aziende dovrebbero monitorare la salute cardiovascolare dei propri dipendenti attraverso il calcolo della media delle pulsioni prodotte e creando intorno a loro un clima di benessere psicologico, nonostante le difficolta' organizzative.
''Dall'esperienza passata, conosco molte potenziali imprese a rischio, le quali rifiutano di avere degli infermieri o del personale medico specializzato che sia in grado di assicurare il controllo medico dei lavoratori, per la paura che queste informazioni possano poi essere usate contro di loro.", dice Wright. "Quando tutto e' detto e fatto poi, e' il personale stesso che deve assumersi sulle sue spalle la responsabilita' della propria salute, e chiunque sia in grado di usare gli strumenti per la misurazione della pressione sanguinga dovrebbe da solo determinare le proprie pulsioni prodotte.''
Le aziende possono adottare campagne per promuovere i temi legati alla salute, sensibilizzare i lavoratori e provvedere a fare in modo che i lavoratori possano in modo anomimo avere accesso agli strumenti per il monitoraggio della propria pressione sanguigna sul posto di lavoro. Inoltre, dice Wright, un'altra significativa osservazione, venuta fuori da questo approccio basato sull'efficienza, e' che, siccome la salute cardiovascolare e compromessa dal fumo, le imprese potrebbero vedersi una riduzione del premio di assicurazione per ogni dipendente che smette di fumare.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/142932.php

sabato 21 marzo 2009

Media e violenza contro le donne

I mezzi di comunicazione di massa possono indurre alcuni individui a giustificare, senza alcuna ragione, le violenze contro le donne, in quanto, spesso vengono ricercate ''le ragioni o le cause'' che hanno provocato il crimine, inducendo la gente a fare lo stesso. La gente, infatti, sarebbe indotta a ricercare e comprendere le ragioni dei gesti criminali, gesti che, in ogni caso, sono ingiustificabili. Questa e' la conclusione di uno studio condotto dalle ricercatrici Carmen Herrera e Francisca Expósito del dipartimento di Psicologia Sociale e Metodologia di Scienze Comportamentali dell'Universita' di Granada. Le due ricercatrici affermano che l'utilizzo di notizie di questo genere, fatto da alcuni media, e' ''estremamente pericoloso e induce una erronea concezione di uno dei piu' seri problemi al mondo''.
Le ricercatrici hanno voluto dimostrare il peso dell'influenza che le notizie dei crimini contro le donne hanno sulla percezione sociale di questo fenomeno. Hanno lavorato con 300 studenti, con una media di 28 anni di eta', provenienti da diverse facolta' dell'Universita' di Granada. L'esperimento prevedeva la presentazione di notizie di violenza contro le donne, apparse su quotidiani nazionali. Il campione dei 300 studenti e' stato suddiviso in 3 gruppi in relazione al diverso grado di manipolazione della notizia: nel primo caso, la violenza dell'aggressore e' stata giustificata (era ubriaco, era una persona violenta), nel secondo caso la manipolazione riguardava la vittima (l'aggressore aveva chiesto alla vittima di sposarlo e costei aveva rifiutato), nel terzo caso, invece, la notizia era riportata in modo obiettivo, senza nessuna manipolazione.
Analizzando i risultati della ricerca, le ricercatrici affermano che, trattando questo particolare tipo di notizie, i media, nel rivolgersi all'audience, hanno di frequente trovato ''giustificazioni o ragioni (alcool, gelosia, situazioni di prolungata disoccupazione ecc.) quali cause per descrivere la situazione''.
Uno dei piu' interssanti risultati e' che i partecipanti hanno avuto la tendenza a giustificare le aggressioni quando si sono soffermati ad analizzale le presunte ragioni che avrebbero provocato il crimine, ''cercando appunto di trovare delle giustificazioni del gesto violento, che in ogni caso e' ingiustificabile''.
Lo studio dimostra anche che i lettori tendono a spiegare e descrivere i fatti in diversi modi, ma sempre in relazione al tipo di informazione fronita dalla notizia, a seconda che il giornalista si sia soffermato sui dettagli dell'aggressore o della vittima.
''Paradossalmente'', insistono le ricercatrici, ''questa situazione contribuisce a mantenere una situazione di ineguaglianza tra uomini e donne per illustrare i fatti che hanno provocato l'atto violento''.
Dicono, infine, che con questo studio ''non vogliono accusare i media di essere responsabili dell'incremento dei casi di violenza nei confronti delle donne'' ma loro credono che, dopo i risultati ottenuti, ''i media dovrebbero essere piu' rigorosi quando si trovano a pubblicare notizie su questo tipo di reati''.

I risultati di questa ricerca verranno pubblicati sul prossimo numero di Anuario de Psicología Jurídica.


Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/143012.php

venerdì 20 marzo 2009

Il cervello batte lo stesso tempo

Quando i musicisti suonano insieme, non solo i loro strumenti seguono lo stesso tempo, ma anche i loro cervelli. Uno studio pubblicato dal giornale on-line BMC Neuroscience, mostra che le onde cerebrali dei chitarristi che suonano insieme sono sincronizzate. Questa scoperta e' importante perche' ci spiega come il cervello interagisce quando si suona in gruppo.
Ulman Lindenberger, Viktor Müller, e Shu-Chen Li del Max Planck Institute for Human Development di Berlino con Walter Gruber dell'Universita' di Salinsburgo, utilizzando l'elettroenefalogramma (EEG) hanno registrato l'attivita' neurale del cervello di 8 coppie di chitarristi. Ogni coppia ha suonato un pezzo Jazz 60 volte, mentre veniva registrata l'attivita' cerebrale attraverso gli elettrodi posti sul loro cranio.
La similitudine delle onde cerebrali dei cervelli di entrambi i musicisti, sono incrementate in modo significativo proprio durante l'esecuzione del pezzo. In primo luogo questa sincronizzazione si e' notata gia' nella fase preparatoria, quando un metronomo batteva il tempo ed, in secondo luogo, quando i musicisti hanno cominciato a suonare insieme. (guarda)
Le regioni frontali e centrali del cervello hanno fatto registrare una sincronizzazione maggiore cosi' come si aspettavano i ricercatori. Le regioni temporali e parietali, comunque, mostrano una alta sincronizzazione in almeno meta' delle coppie di chitarristi. Queste regioni possono essere coinvolte nei processi di supporto alle azioni coordinate dei musicisti, o nell'ascolto della musica.
''La ricerca dimostra che le azioni interpersonali cooordinate sono precedute ed accompagnate da un accoppiamento oscillatorio delle onde dei due cervelli'' dice Ulman Lindenberger. La ricerca pero' non dimostra se questo accoppiamento in risposta al ritmo del metronomo e della musica, sia il risultato della visione dei reciproci movimenti e dell'ascolto della reciproca musica, o il risultato della sincronizzazione dell'attivita' cerebrale che si attiva prima e determina quindi la coordinazione della performance. Sebbene la sincronizzazione del cervello dei musicisti nei confronti della musica sia stata osservata precedentemente, questa e' la prima volta che questi musicisti sono stati sottoposti a questo tipo di misurazione insieme.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/142575.php
Per vedere l'inero articolo (inglese): http://www.biomedcentral.com/bmcneurosci/

giovedì 19 marzo 2009

Attivita' percettive consce

La coscienza e' una emergente proprieta' della mente umana. Le domande di base circa l'esatta localizzazione, tempi e gli eventi neurali che ci consentono il conscio accesso alle informazioni provenienti dagli stimoli sensoriali che riceviamo, non hanno ancora una chiara ed inequivocabile risposta.
Alcuni neuroscienziati suppongono che questi processi possano essere localizzati in una particolare parte del cervello, con la comune idea che le sue proprieta' si basino su relazioni piu' globali.
I correlati neurali della coscienza vengono attivati prima o dopo la percezione degli stimoli che attivano l'attivita' cerebrale? Coinvolgono coerentemente le attivita' di diverse aree cerebrali, o possono essere circoscritte ad un pattern di attivita' isolate?
Una ricerca pubblicata su PLoS Biology, suggerisce che sono quattro i processi combinati che sono all'origine delle attivita' conscie. Studiando l'attivita' cerebrale di individui a cui erano stati presentati due differenti tipi di stimoli, alcuni che avrebbero percepito consciamente e alcuni inconsciamente, il dott.Gaillard dell'INSERM e colleghi hanno dimostrato che questi quattro processi sono determinanti nelle attivita' percettive consce.
Il monitoraggio delle attivita' di questi correlati neurali e' avvenuto attraverso la registrazione elettrofisiologica intra cerebrale. Questo e' stato possibile grazie al fatto che pazienti affetti da epilessia, che erano gia' in cura, hanno accettato l'impianto degli elettrodi necessari per la registrazione dell'attivita' cerebrale. Sono state quindi presentate parole, in alcuni casi camuffate in altri casi invece dirette, e nel frattempo sono stati registrati i cambiamenti dell'attivita' cerebrale dei soggetti. Questo metodo permette di registrare i correlati neurali delle attivita' consce ad una ottima risoluzione spaziale e temporale. Quando si e' valutati l'attivita' neurale elicitata delle parole presentate ai soggetti, i ricercatori hanno potuto isolare quattro complementari e convergenti segni elettrofisiologici, che caratterizzano le attivita' coscienti, 300 ms dopo la percezione dello stimolo.
Tutte queste misure sono utili perche' ci consentono di avere diversi punti di osservazione sulla risposta neurale a lungo termine generata da questi stimoli. Sembra proprio infatti che la convergenza di queste misure in una range di 300 ms, piuttosto che la mera presenza di ogni singolo processo isolato, meglio caratterizzi questo esperimento.
''Il presente lavoro suggerisce che, piuttosto che sperare nella presenza di un unico processo, (il correlato neurale delle percezioni consce) una maggiore e matura visione di questi processi dovrebbe considerare il fatto che esiste una ralazione tra i pattern distribuiti nel cervello ed una coerente attivazione cerebrale'' spiega lionel Naccache uno dei neuroscienziati autori della ricerca.
Le ultime ipotesi sui tempi di reazione durante la percezione cosciente, qui coerentemente dimostrati, sono in linea con le Global Workspace Theory, prospettate da Stanislas Dehaene, Jean-Pierre Changeux, and Lionel Naccache.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/142549.php
Per vedere tutta la ricerca (in inglese): http://biology.plosjournals.org/perlserv/?request=get-document&doi=10.1371/journal.pbio.1000061

martedì 17 marzo 2009

La musica migliora la abilita' linguistiche

Uno studio pubblicato su Psycology of Music, dimostra che i bambini che frequentano un programma di diversi anni di educazione musicale con graduali incrementi di complessita' ritimica, tonale e pratica, hanno maggiori abilita' cognitive rispetto ai loro coetanei.
Secondo gli autori, Joseph M. Piro e Camilo Ortiz della Long Island University, questa scoperta ci aiutera' a chiarire il ruolo che la musica ha sulle capacita' cognitive individuali e fara' luce sulle potenzialita' della musica stessa nel migliorare il rendimento scolastico, le abilita' linguistiche ed alfabetizzazione.
Studiano i bambini di due scuole elementari, una delle quali prevedeva regolari sessioni di educazione musicale, i due ricercatori hanno vagliato l'ipotesi secondo cui, i bambini che avevano lezioni di musica con grado di difficolta' crescente negli anni, avrebbero anche avuto migliori performance scolastiche rispetto agli altri. La dimostrazione sarebbe stata fatta attraverso la misurazione del loro vocabolario e delle loro sequenze verbali. Misurazione che prevedeva test di comprensione e produzione verbale e scritta del linguaggio.
Molti studi precedenti hanno dimostrato una correlazione tra le abilita' musicali e incremento di altre capacita' dei bambini. Gli studiosi dicono che esistono delle similitudini sul modo in cui i soggetti interpretano il linguaggio musicale e il linguaggio verbale e ''siccome la risposta neurale alla musica e' elicitata da un ampio sistema distribuito nel cervello.......non sarebbe irragionevole aspettarsi processi di base simili tra apprendimento di abilita' musicali e capacita' verbali e che questi due sistemi, localizzabili in entrambi gli emisferi, presentino delle sovrapposizioni.''
Lo scopo dello studio e' stato quello di osservare due specifiche capacita' verbali, vocabolario e sequenze verbali, che secondo gli autori ''sono le componenti di base dell'alfabetizzazione e che determinano la conquista delle capacita' linguistiche come la comprensione e codifica del linguaggio.''
I ricercatori hanno selezionato, quindi, bambini di due scuole diverse situate nella stessa area geografica e con simili caratteristiche socio-demografiche, in modo da assicurarsi che i due gruppi fossero piu' simili possibile, a parte ovviamente, per le loro esperienze musicali.
In tutto 46 bambini che avevano ricevuto regolari lezioni di pianoforte per tre anni consecutivi, e 57 bambini che mai avevano avuto lezioni di musica o avavano mai suonato un strumento, a parte per le lezioni previste dal percorso scolastico comune o per lezioni private. Sono stati seguiti i progressi delle capacita' verbali di entrambi i guppi, infatti ogni singolo alunno e' stato sottoposto al test del TSI(struttura dell'intelligenza o Structure Of Intellect SOI), alla fine dei 10 mesi di ogni anno scolastico.
Alla luce dei risultati analizzati, alla fine del periodo stabilito, si e' potuto apprezzare una maggiore pienezza di vocabolario e un maggior punteggio nei risultati dei testi di seguenze verbali dei bambini del primo gruppo rispetto a quelli del secondo. La scoperta, aggiungono gli autori, dimostra che e' necessario incrementare maggiormente la comune pratica degli ''educatori incorporando una maggiore varieta' di approcci educativi, includendo la musica, nelle loro pratiche d'insegnamento, in un continuo sforzo di migliorare le abilita'verbali dei bambini''.
In ogni caso, le successive interpretazioni dei risultati rilevano una maggiore complessita' degli esiti generali della ricerca. Una interessante osservazione, infatti, fa notare che all'inizio dello studio, i punteggi dei test effettuati sulle attivita' di lettura e comprensione del linguaggio scritto dei soggetti sperimentali, che aveva avuto gia' due anni di lezioni di pianoforte, erano quasi identici al gruppo di controllo.
Cosi' gli autori si chiedono: ''perche' se i soggetti sperimentali hanno gia' abilita' musicali, non fanno registrare una maggiore performance?''
Riferendosi a ricerche precedenti che mostrano che i cambiamenti della corteccia cerebrale in certe aree congnitive, come quelle coinvolte nelle abilita' spazio-temporali, avvengono velocemente, i due ricercatori suppongono che vi siano tre fattori che potrebbero spiegare questo fenomeno.
Il primo si riferisce al fatto che i test condotti sui bambini del gruppo sperimentale furono fatti all'inizio dell'anno scolastico, dopo un periodo di vacanza e questo significa che e' probabile che, la mancanza di istruzione musicale, potrebbe avere preservato una temporanea e precedente riorganizzazione corticale di questi soggetti. Questo e', inoltre, dimostrato anche da una ricerca relativa. Un'altra spiegazione potrebbe essere che gli studi musicali richiedono comunque un miglioramento delle capacita' di lettura e che questo miglioramento puo' avvenire solo in tempi lunghi, e cosi' i due anni di lezione potrebbero non essere stati abbastanza sufficienti.
In terzo luogo un'altra spiegazione riguarda il periodo di tempo durante il quale questi bambini hanno ricevuto le lezioni di musica. Durante il corso del loro terzo anno di educazione musicale, i ragazzi del gruppo sperimentale avevano quasi 7 anni. Le evidenze dimostrano che in questo periodo ci sono dei significativi incrementi della crescita cerebrale e materia grigia che sono correlati all'aumento della complessita' delle materie di studio del terzo anno. Quindi i cambiamenti cerebrali coinvolti nelle abilita' di lettura possono essere stati maggiormente accumulati solo in questo periodo rispetto ai due anni precedenti.
''Tutte queste disquisizioni ci consentono in modo ancora piu' avvincente di spiegare il significato dei risultati dell'esperimento, ma segnaliamo che le decisioni su ''quando'' insegnare sono almeno parimenti importanti a quelle sul ''cosa'' insegnare soprattutto quando si investiga sui differenti patter neurali ed i loro substrati cognitivi associati'' spiegano gli autori.
''Lo studio di come la musica puo' sostenere lo sviluppo cognitivo, aiutera' gli educatori ad andare al di la' di qualche confusa e malamente difinita concezione che ''la musica fa tendenza'', attraverso l'adozione di curati e credibili approcci educativi, che usano la ricchezza e la complessita' concettuale della stuttura della musica e della sua influenza sulle altre aree cognitive.''

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2009/03/090316075843.htm

domenica 15 marzo 2009

Bambini prematuri e rendimento scolastico

Meta' dei bambini che sono nati prematuri hanno bisogno di un supporto scolastico aggiuntivo. Questi soggetti hanno piu' problemi soprattutto con la matematica. La ricerca, pubblicata su Fetal and Neonatal Edition di Archives of Disease in Childhood, ha riguardato 219 bambini di 11 anni che sono nati prima di 26 settimane di gravidanza nel Regno Unito durante il 1995.
Sono state misurate le abilita' cognitive di 153 bambini e la loro attitudine scolastica e queste capacita' sono state comparate con gli altri compagni di classe nati dopo un decorso normale.
La valutazione e' stata basata sul QI e sulle valutazioni degli insegnanti dei compiti scolastici assegnati durante il regolare corso degli studi.
I bambini nati prematuri hanno ottenuto punteggi piu' bassi in lettura e matematica rispetto ai coetanei nati dopo un regolare periodo di gestazione.
Eccetto per la matematica, inoltre, i ragazzi hanno ottenuto punteggi piu' bassi delle ragazze; questa differenza, invece, non esiste per l'altro gruppo.
Nel gruppo dei bambini prematuri, uno su tre ha difficolta' di lettura e quasi la meta' (44) ha problemi con la matematica. Questi bambini hanno anche problemi nel processare diverse informazioni in modo simultaneo.
Di questi bambini solo 29 frequentava una scuola speciale, tutti gli altri, invece, frequentavano la scuola pubblica dove il 57% ha avuto bisogno di un supporto supplementare.
Due terzi di loro, in aggiunta, ha bisogno di speciali aiuti educativi, rispetto al solo 11% dei compagni di classe e 24% degli studenti inglesi.
Le loro performance scolastiche sono considerate dai loro insegnanti piu' basse della media, mentre, solo 5% dei bambini nati dopo un regolare perodo di gestazione ha lo stesso rendimento.
I ricercatori suppongono che la nascita prematura, costringendo i bambini a frequentare la scuola prima del dovuto, determini queste difficolta'.
In realta' la ricerca ha sottolineato che anche se le performance di alcuni bambini prematuri e' uguale a coloro i quali hanno iniziato la scuola regolarmente, questi comunque hanno bisogno di un supporto aggiuntivo.
''L'impatto di queste difficolta' e' destinato ad essere sempre maggiore'', dicono gli autori dello studio ''infatti queste problematiche si possono inasprire nella scuola media superiore quando le risorse cognitive necessarie devono essere maggiori in relazione alla maggiore complessita' degli studi''.

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/142108.php



The Pleasure Centre

Piacere e desiderio sono fondamentali per tutti i comportamenti umani. Nel suo nuovo libro, The Pleasure Centre, il neuroscienziato Morten Kringelbach (foto) dell'Universita' di Oxford, ci propone un viaggio attraverso cervello e mente e ci sfida ad affidarci ai nostri istinti animali nella ricerca del piacere.
Piacere e senso di appagamento sono generati dall'interazione di diverse aree cerebrali e questi processi possono essere consci ed inconsci.
''Una maggiore comprensione di come piacere e appagamento sono generati dal nostro cervello, puo' darci informazioni utili sulla natura umana'', dice il prof. Kringelbach.
Nella routine quotidiana ci potremmo sentire continuamente in lotta contro le nostre pulsioni, per raggiungere cio' che realmente vogliamo, ma questo nostro atteggiamento e' irrazionale perche', oltre a sprecare un sacco di energie, e' proprio il desiderio ed il piacere alla base di ogni nostra decisione, azione e quindi comportamento.
''Piacere e desiderio sono strettamente correlati con il nostro cervello al fine della riproduzione e della sopravvivenza.'', dice.
Il piacere e' alla base di emozioni, linguaggio, sesso, memorie ed apprendimento; gli esseri umani, inoltre, hanno delle capacita' superiori come, i processi di pensiero, arte, musica, altruismo e spiritualita'. Le malattie mentali, come la depressione, deprivano l'indivuduo del piacere, suggerendo che il sistema di appagamento e' comunque sbilanciato.
Il libro The Pleasure Centre non rappresenta una scorciatoia rapida per la felicita'. Con l'ausilio di storia, casi clinici, evoluzione e ricerche neuroscientifiche, il prof. Kringelbach vuole dare un nuovo significato al termine piacere e appagamento e vuole sottolineare gli effetti che questo ha sul nostro comportamento. Importanti progressi tecnici, inoltre, hanno consentito ai neuroscienziati di migliorare la comprensione della natura umana.
''Dobbiamo avere pazienza e controllo sui nostri istinti piu' distruttivi se vogliamo affrontare con successo le sfide del domani: sovrappopolamento, cambiamenti climatici, intelligenza artificiale. La natura umana deve essere indubbiamente ancora a lungo sutdiata per essere appieno completamente conoscuta'', conclude.

The Pleasure Centre is published by Oxford University Press
ISBN 978-0-19-532285-9
£13.99 hardback
http://www.kringelbach.dk/mlk_pleasurecenter.html

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/141538.php

sabato 14 marzo 2009

Credere in Dio puo' ridurre ansieta' e stress

Una ricerca condotta dall'Universita' di Toronto ha dimostrato che credere in Dio puo' bloccare l'ansieta' e ridurre lo stress, grazie alla localizzazione di specifiche aree cerebrali.
I due esperimenti condotti dallo psicologo dott. Michael Inzlicht(foto), professore e ricercatore dlel'Universita' di Toronto, ha visto impegnati i due gruppi sperimentali (religiosi e non credenti) durante il Test di Stroop mentre la loro attivita' cerebrale era monitorata da elettrodi.
I religiosi, in rapporto ai non credenti, hanno fatto registrare una minore attivita' della corteccia cingolata anteriore (ACC), una regione del cervello che aiuta a modificare il comportamento richiamando maggiore attenzione e controllo, soprattutto a seguito di alcuni eventi che producono ansia, come per. es. a seguito di errori.
Quanto piu' forte e' il loro zelo religioso e la loro fede in Dio tanto minore e' stata l'attivita' dell' ACC in risposta ai loro errori.
''Si potrebbe pensare che questa parte del cervello funga da campanello di allarme in caso di errore o di certe situazioni che generano ansia'' dice il dott. Michael Inzlicht ''in ralta' abbiamo scoperto che le persone religiose o quelle che semplicemente credono all'esistenza di un Dio hanno una ridotta attivita' cerebrale in seguito a questi eventi. Questa molto minore attivita' cerebrale fa sentire loro meno stressati dopo un evento traumatico.''
Questa correlazione rimane ancora forte anche a seguito dei risultati di test che valutano la personalita' e le abilita' cognitive dei religiosi, ed inoltre si e' visto che questi commettono anche meno errori nel test di Stroop rispetto ai non credenti.
Questa scoperta mostra che i religiosi generano un effetto rassicurante sugli altri fedeli, facendoli sentire meno ansiosi quando commettono degli errori o quando sono nel dubbio.
Il dott. Inzlicht sottolinea pero' che l'ansieta' e' una arma a doppio taglio in quanto e' necessaria e di aiuto in alcune altre situazioni.
''E' ovvio che l'eccessiva ansieta' puo' essere negativa perche' potrebbe paralizzare ogni nostra attivita' a seguito della paura avvertita, pero' e' necessaria per alcune funzioni che ci mettono in guardia da situazioni potenzialmente pericolose. Se, infatti, dopo aver commesso un errore non si sviluppasse l'ansia quale impulso avremmo a modificare o migliorare il nostro comportamento al fine di non commettere quell'errore ancora ed ancora?''

Fonti: http://www.medicalnewstoday.com/articles/141226.php

giovedì 12 marzo 2009

La prima impressione

I ricercatori della dell'Universita' di New York e quella di Harvard hanno identificato il circuito neurale coinvolto nella formazione delle nostre prime impressioni degli altri. La scoperta, che mostra come codifichiamo e valutiamo le informazioni sociali che riceviamo riguardanti le altre persone e che determinano il nostro primo giudizio di esse, e' stata pubblicata su Nature Neuroscience.
E' difficile avere una esatta opinione degli altri quando siamo in interazione sociale, anche perche' le informazioni che da questi riceviamo hanno un particolare grado di ambiguita' e sono anche complesse. Comunque sia, quando incontriamo qualcuno per la prima volta, che ci piaccia o no, formuliamo spesso un rapido giudizio su di esso. Ricerche precedenti infatti, hanno gia' dimostrato che le persone si formano una relativamente accurata opinione di nuove persone gia' al primo incontro e questi giudizi si formano perfino in meno di 30 secondi.
Lo studio in questione ha cercato di capire i meccanismi cerebrali responsabili della formazione delle prime impressioni che formuliamo dopo l'incontro con persone nuove.
La ricerca e' stata condotta nel laboratorio della Prof.ssa Elizabeth Phelps dell'Universita' di New York dove insegna psicologia e neuroscienze (coautrice) L'autrice dello studio invece e' Daniela Shiller (foto) che ha svolto la ricerca nel dipartimento di psicologia dell'Universita' di NY e presso il centro di Neural Science. Altri co-autori sono stati: Jonathan Freeman, dell'Universita' di NY, James Mitchell, assistente professore all'Universita' di Harvard presso il Dipartimetno di Psicologia; James Uleman, professore al dipartimento di Psicologia dell'Universita' di NY.
Per esplorare i processi di formazione della prima impressione, i ricercatori hanno messo a punto un esperimento che gli ha consentito di osservare l'attivita' cerebrale dei soggetti sperimentali, mentre questi erano impegnati in valutazioni di persone fittizie. Ai partecipanti, infatti, e' stato fornito il profilo scritto di 20 persone con differenti personalita' e tratti caratteriali. Il profilo, accompagnato dalla foto di questi personaggi inventati, era completo di un esauriente scenario che prevedeva la descrizione dei loro tratti positivi (per es. intelligenza) e negativi (per es. indolenza).
Dopo la lettura dei profili veniva chiesto ai partecipanti di esprimere un giudizio sul carattere dei personaggi fittizzi. E' ovvio che questi giudizi sono stati vari e legati a come i soggetti sperimentali hanno valutato i tratti positivi e negativi presentati. Se ad un soggetto, per esempio, piace una persona intelligente rispetto ad una indolente si formera' una impressione positiva della prima e negativa della seconda. Durante la formazione di questi giudizi, l'attivita' cerebrale dei soggetti e' stata monitorata attraverso la risonanza magnetica funzionale (fRMI). Si e' riusciti cosi' ad individuare le differenze dell'attivita' cerebrale dei soggetti quando questi hanno considerato i vari tratti di personalita' descritti e che sono stati rilevanti per la formazione della prima impressione.
Le immagini mostrano una maggiore attivita' in due strutture del cervello. La prima e' l'amigdala
una piccola struttura del lobo temporale mediale. La seconda struttura e' la corteccia cingolata posteriore che e' coinvolta nelle decisioni di tipo economico e nelle attribuzioni di valore.
La ricerca ha dimostrato che l'attivita' di queste aree, che sono implicate nelle valutazioni di serie di variabili, e' maggiore quando i soggetti sperimentali erano impegnati a considerare i vari fattori determinanti nella costituzione della prima impressione dei personaggi fittizzi considerati.
''Persino quando osserviamo brevemente una persona sconosciuta queste aree del cervello sono importanti ed occupate nella veloce formazione della prima impressione'' dice la Prof.ssa Phelps.
Daniela Shiller infine conclude dicendo che: ''Quando, ogni giorno, codifichiamo informazioni durante le nostre relazioni sociali, queste regioni cerebrali selezionano determinate caratteristiche a cui attribuiamo un nostro personale e soggettivo significato, e le sommano costituendo un risultato finale - la prima impressione.

Source: James Devitt
New York University

Fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/141669.php

mercoledì 11 marzo 2009

I verbi influenzano la memoria ed il comportamento

Se volete raggiungere i vostri obiettivi, sarebbe necessario che badiate a come vi esprimete descrivendo e pensando alle azioni intraprese. In uno studio condotto dallo psicologo William Hart dell'Universita' della Florida e dalla psicologa Dolores Albarraca dell'Universita' dell'Illinois e pubblicato su Psychological Science viene rivelato che il modo in cui si e' formulata un intenzione od un proposito od una descrizione (specificamente in riferimento ai verbi usati) influenza la memoria di quell'evento ed in piu' puo' anche influenzare il nostro comportamento.
Nell'esperiemento messo a punto dai due ricercatori un gruppo di volontari e' stato interrotto prima di finire un gioco di parole. Quindi gli e' stato chiesto di descrivere la loro esperienza usando l'imperfetto (p.e. ero a scrivere) od il passsato remoto (p.e. scrissi). In seguito gli e' stato chiesto di completare un test di memoria o di completare un gioco di parole simile al primo.
Il risultato e' stato che, i volontari che avevano fatto la descrizione del compito usando l'imperfetto sono stati in grado di rievocare maggiori dettagli della loro esperienza a confronto di coloro che avevano usato il passato remoto. Inoltre si e' registrata una migliore performance nel test di memoria o nel gioco simile al primo.
Gli autori suppongono che quando pensiamo ai nostri comportamenti ed esperienze passate all'imperfetto noi immaginiamo che quell'esperienza non sia ancora completamente passata. Questo ci aiuta a ricordare piu' facilmente gli avvenimenti legati a quelle situazioni e cio' determina una migliore performance nei compiti futuri.
Gli autori ritengono che queste scoperte sono utili nelle terapie comportamentali. Suggeriscono infatti che ''la diminuzione della frequenza di comportamenti non sani potrebbe essere facilitata dalla semplice discussione col paziente di quello che successe in una determinata esperienza. Di contro, invece, l'incremento dei comportamenti sani potrebbe essere incrementata dalla discussione col paziente di quello che succedeva in quella determinata situazione.

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/141835.php

mercoledì 4 marzo 2009

Il sesso risiede nel cervello

Una recente ricerca ha dimostrato che sono piu' del 40% le donne di eta' compresa tra i 19 e 59 anni che accusano disfunzioni sessuali, mancanza di interesse sessuale, disordini legati ad un ipoattivo desiderio sessuale. Un team interdisciplinare della Facolta' di medicina dell'Universita' di Stanford si e' occupato di raccogliere delle evidenze oggettive per verificare la validita' di tale riscontro.
La ricerca e' stata condotta dal Professor Bruce Arnow professore di psichiatria e scienze del comportamento, e Leah Millheiser, MD, professore assistente di ostetricia e ginecologia e direttore del Female Sexual Medicine Program allo Stanford Hospital & Clinics.
La domanda a cui hanno voluto dare una risposta e': quale ruolo gioca il cervello nella mancanza di desiderio sessuale?
Il background e' stato quello relativo agli studi fatti sulle disfunzioni sessuali degli uomini che si sono largamente basati sulla fisiologia del corpo piuttosto che del cervello. Nelle donne invece il cervello puo' giocare un ruolo importante rispetto agli organi periferici.
Lo studio prevedeva in primo luogo il confronto dei pattern di attivazione sessuale del cervello delle donne con disfunzioni rispetto a quelle senza.
L'esperimento consisteva nella presentazione di segmenti di video erotici intervallati da immagini di eventi sportivi femminili. Questi spezzoni erano separati da tranquille immagini, come fiori, montagne o suoni dell'oceano per riportare il cervello delle donne ad uno stato di tranquillita' dopo la stimolazione dovuta alle immagini. L'attivita' cerebrale dei soggetti era costantemente monitorata attraverso la risonanza magnetica RMI che permetteva di osservare l'attivita' delle varie regioni del cervello in tempo reale. Le donne inoltre riferivano ai ricercatori il loro soggettivo stato di eccitazione sessuale a seguito della visione, mentre questi, allo stesso tempo, raccoglievano misurazioni oggettive della suddetta eccitazione.
I risultati hanno dimostrato che l'attivazione delle aree cerebrali e' piu' o meno la stessa, sia nel gruppo sperimentale sia in quello di controllo, con poche ma rilevanti eccezioni. La piu' grande differenza che si e' notata e' stata quella relativa a tre aree del cervello delle donne con disfunzioni sessuali -il giro frontomediale, il giro frontale inferiore destro, telencefalo- quando sono state mostrate le immagini erotiche. In un altra area del cervello -la corteccia entorinale bilaterale- si sono invece osservati effetti opposti. La ricerca, quindi, ha dimostrato che ci sono specifiche aree del cervello delle donne con disfunzioni dove l'attivita' e' alterata rispetto alle donne senza questo tipo di disordine.
Due delle aree cerebrali dove si e' registrata una maggiore attivita' nelle donne con disordini sessuali, il giro frontomediale ed il giro frontale inferiore destro, sono state associate rispettivamente, l'una ad una maggiore attenzione ai propri ed altrui stati mentali e l'altra ad una soppressione della risposta emotiva. La ricerca suggerisce che una maggire attenzione alle proprie risposte alle immagini erotiche gioca un ruolo fondamentale nelle disfunzioni sessuali. L'attivazione della corteccia entorinale osservata nei soggetti di controllo rispetto ai soggetti con disordini sessuali altresi' puo' essere correlata a migliorate abilita' nel riuscire a stabilire ricordi emozionali relativi ad eventi sessuali.
Attenzione pero'. Una correlazione non e' un effetto. Le ricerche infatti potrebbero dimostrare come una troppa attenzione potrebbe provocare l'inibizione del desiderio sessuale o come il calo del desiderio sessuale a causa di situazioni frustranti determini un aumento di autocoscienza.
''I risultati di questi studi ci consentono di avere altri importanti strumenti per capire la complessita' delle funzioni femminili come quelle legate al desiderio.'' dice Millheieser. ''Il prossimo passo sara' quello di tradurre queste informazioni nella pratica clinica soprattutto per quanto riguarda l'approccio cognitivo e farmacoterapeutico.''

Fonti:
http://www.medicalnewstoday.com/articles/140962.php
http://it.wikipedia.org/wiki/Corteccia_entorinale
http://lab4.psico.unimib.it/webhomes/paulesu.eraldo/soluzioni_quiz.htm

I risultati sono apparsi il 23 gennaio sul giornale Neuroscienze

lunedì 2 marzo 2009

Come funziona il baclofene?

Gli esperti adesso hanno riconosciuto valide le ipotesi del Dr Oliver Ameisen relative al fatto che l'alcolismo e' legato ad una deficienza del GHB (Gamma-idrossibutirrato) che e' descritto come il valium naturale del cervello.
Questo naturale tranquillizzante ci aiuta a rilassarci ed ha alcuni effetti positivi su ansieta', tensione muscolare, insonnia e depressione.
In accordo con questo, le persone che hanno una deficenza del GHB a causa del consumo di alcool e varie droghe, progressivamente diventano dipendenti.
Il GABA agische attraverso 2 recettori, il GABA A ed il GABA B. Quando le persono bevono, l'alcool andra' ad occupare il recettore del GABA A attivandolo e generando gli effetti rilassanti relativi. Quando poi si smette di bere si percepisce nuovamente un senso di ansieta'.
Se si assume il baclofene invece, esso stimola il recettore del GABA B come fa in modo selettivo solo il GHB diversamente da come avviene per il GABA A. Questo suggerisce che i vari principi attivi contenuti nei farmaci, droghe, alcool, andranno ad attivare solo il GABA A ma sembra che la via per fermare la dipendenza da alcool si trova col recettore B.

Fonte: Metro del 2 marzo 2009 pag 18

domenica 1 marzo 2009

Lo stess del bambino e' ereditato dai genitori?

Alcuni bambini rimangono calmi quando qualcosa cambia nella loro vita o nel loro ambiente, ci sono invece altri che diventano difficili e si agitano e persino deviano leggermente dalla norma. I ricercatori non sanno ancora spiegarsi se certi bambini sono maggiormente capaci di far fronte allo stress oppure la reazione a simili situazioni e' influenzata dai genitori e/o geni.
In relazione agli ultimi recenti studi, questa capacita' e' determinata da entrambi i fattori.
Chati Propper, un psicologa dello sviluppo dell'Universita' di Chapel Hill della Carolina del Nord, ed i suoi colleghi hanno studiato 142 bambini durante il loro primo anno di vita, generando stress nei piccoli attraverso l'allontanamento dalla propria madre.
Usando l'elettrocardiogramma, i ricercatori hanno captato il tono del nervo vago del bambino, che dimostra quanto forte il nervo vago sopprime la frequenza cardiaca. Il nervo vago va dal cervello fino ai piu' importanti organi del corpo. Durante le situazioni di stress, la diminuzione del tono del nervo vago, permette l'incremento del battito cardiaco e permette che il bambino controlli lo stress. Alcuni di questi bambini, pero', non mostra una diminuzione del tono del nervo vago durante i periodi stressanti; i recercatori hanno scoperto che questi bambini, a cui manca una effettiva risposta allo stress all'eta' di tre e sei mesi presentano una particolare variante del gene DRD2 che regola il recettore del neurotrasmettitore dopamina.
Questo effetto e' stato associato ad un decremento dei recettori della dopamina nel cervello che e' collegato con il comportamento nelle situazioni di rischio, come per esempio negli adulti sono i giochi d'azzardo.
Nello studio e' emerso che i bambini che hanno differenti versioni di questo gene, hanno anche differenti e tipiche reazioni allo stress.
Il ruolo di questo gene, pero', non e' la sola determinante.
I ricercatori hanno anche valutato lo stile dei genitori di questi bambini, in particolar modo della madre. ''L'esposizione continua alle cure materne sembra contrastarne gli effetti'' rispetto all'effetto piu' rischioso dovuto all'influenza della variante del gene, dice il dott. Propper. I bambini di 12 mesi che hanno la variante diversa del gene e i cui bisongni sono stati puntualmente soddisfatti dalla madre mostrano delle reazioni allo stress perfettamente identiche agli altri.

Fonti:
http://uncnews.unc.edu/news/health-and-medicine/unc-study-parenting-can-override-effect-of-genes-in-how-babies-respond-to-stress.html
http://www.sciam.com/article.cfm?id=is-babys-stress-inherited

Pensare velocemente aumenta il buon umore

Avete avuto una brutta giornata? Non pensate di poter risolverla pensando a qualcosa di piacevole e carino. Vi basta solo pensare piu' velocemente.
Uno studio ha dimostrato come il pensiero accelerato puo' migliorare il vostro umore.
In sei esperimenti i ricercatori della Universita' di Princepton e Harvard, hanno assegnato ai soggetti sperimentali il compito di generare, il piu' velocemente possibile, possibili soluzioni in relazione a problemi che scorrevano sullo schermo di un pc a passo veloce, in un tempo di 10 minuti (sono state comprese anche le soluzioni errate) o guardando il telefilm ''I love Lucy'' (una sit-com molto famosa negli Stati Uniti) in fast-forward. Il gruppo di controllo e' stato lasciato libero di pensare alla normale velocita'.
I risultati dimostrano che pensare veloce fa sentire i partecipanti piu' euforici, creativi e con minor grado, energetici e potenti.
Le attivita' che richiedono quindi una maggiore rapidita' di pensiero, come svolgere velocemente semplici parole crociate o un brain storming rapido per risolvere un problema, possono spingere energia ed umore, dice la psicologa Emily Pronin autrice della ricerca.
La Pronin afferma anche che pensare velocemente a volte ha anche qualche conseguenza negativa. Nei soggetti con disturbo bipolare, infatti, in questo tipo di attivita' i pensieri possono andare cosi' veloci che le sensazioni maniacali vengono avvertite come avverse.
Queste evidenze sono basate sia su ricerche della Pronin, sia su ricerche di altri autori.
Si evidenzia da risultati di altre ricerche precedenti della Pronin e collaboratori che sebbene pensieri rapidi, veloci e vari generano euforia, i pensieri rapidi ma ripetitivi possono essere la miccia che innesca l'ansieta'. (Suggeriscono anche che i diversi e lenti pensieri, portano ad un certo tipo di calma, pace e gioia associata a meditazione a mente libera, mentre i pensieri calmi ma ripetitivi tendono a spronare la depressione).
Non sappiamo perche' la velocita' di pensiero ha effetti sull'umore, ma la Pronin e i suoi colleghi suppongono che le nostre aspettative hanno un ruolo chiave in questo processo. Nelle loro precedenti scoperte, fu evidenziato che le persono credevano che la capacita' di pensare velocemente fosse un segno di buon umore. Questa credenza ci porta ad inferire che se abbiamo rapidita' di pensiero dobbiamo essere contenti. I ricercatori aggiungono inoltre che la rapidita' di pensiero puo' stimolare il sistema dopaminergico del cervello che e' coninvolto nelle sensazioni di piacere e ricompensa.
Questi effetti possono essere transitori, ma si addizionano, come dice la psicologa Sonja Lyubomirsky della Universita' di Riverside in California.
I suoi studi hanno dimostrato che il maggiore buon umore ha una miriade di effetti positivi, come una maggiore produttivita', un piu' forte sostegno sociale e migliora le funzioni del sistema immunitario, ella spiega infine che, ''persino brevi periodi di buon umore possono determinare questi benefici effetti.''
Fonte:
http://www.sciam.com/article.cfm?id=rapid-thinking-makes-people-happy