martedì 16 marzo 2010

Uno strumento per prevenire il suicidio?

Il suicidio lascia perplessi e disturba le persone che ci sono accanto, perché in gran parte non è prevedibile. Le persone che hanno intenzione di suicidarsi molto spesso nascondono le loro intenzioni, oppure le negano, ed in questo modo gli amici ed i famigliari rimangono perplessi sui segnali di allarme che avrebbero potuto cogliere.
Questi segnali spesso sfuggono persino al giudizio di clinici esperti. Per questo motivo i vari clinici esperti nel suicidio hanno sperato di trovare e cercato un chiaro indicatore comportamentale del rischio di suicidio. Adesso sembra che siano riusciti a trovarne uno. Gli scienziati della dell'università' di Harvard affermano che uno strumento usato per comprendere i pensieri inconsci può essere usato per identificare l'intento suicida (anche se questo e' rinnegato e/o tenuto nascosto) offrendo una nuova speranza per il tempestivo intervento per salvaguardare la vita dei soggetti a rischio.
Lo psicologo Matthew Nock assieme ai colleghi di Harvard e del vicino Massachussetts General Hospital, hanno deciso di adottare un test chiamato IAT (Implicit Association Test) per scoprire i segnali di allarme del suicidio. Nello specifico il dott. Nock ha voluto capire se le persone potenzialmente a rischio possano avere associazioni implicite più' forti tra la loro persona e la morte (associazioni che possono puntare anche verso intenzioni auto distruttive). Egli ha valutato157 persone bisognose di trattamento nel reparto di psichiatria ricoverate nella sezione dedicata alle emergenze. I pazienti si presentavano tutti emotivamente provati, ma solo alcuni si trovavano in ospedale perché avevano tentato di suicidarsi. Gli scienziati vollero allora vedere se il test IAT fosse in grado di distinguere queste due categorie di persone (quelle che avevano tentato il suicidio e quelle che erano in ospedale per altre ragioni)
Lo IAT e' un test a tempo. Mentre erano in ospedale, spesso seduti sul letto, ai pazienti venne chiesto di classificare delle parole che apparivano sullo schermo di un computer. Parole come: esanime, prosperare, me stesso, defunto, loro, il loro, sopravvissuto, respiro e così via. L'idea e' quella di osservare come i pazienti, in modo rapido, connettono le parole che riguardano la propria identità ai termini che riguardano invece sia la vita e sia la morte.
Lo studio non finisce qui. Il dott. Nock ha seguito i pazienti per sei mesi e ha notato che per coloro che avevano nel test mostrato un'associazione più' altra tra la propria persona e la morte si e' riscontrato un numero di tentativi di suicidio pari a 6 volte maggiore rispetto agli altri. Questa rappresenta una sostanziale differenza, ed inoltre, le associazioni inconsce si sono rivelate un valido e migliore predittore rispetto alla depressione, tentativi precedenti falliti, o delle intuizioni da parte dei clinici professionisti del rischio di suicidio.
Cosa dire circa la previsione sul nostro campione di pazienti? 14 di essi tentarono il suicidio entro i successivi 6 mesi dopo l'uscita dall'ospedale. La loro autovalutazione fu un indicatore del futuro rischio, ma imperfetto. I risultati dello IAT, invece, furono migliori a livello prognostico perfino dell'autovalutazione dei pazienti stessi. Questo suggerisce che i pensieri inconsci possono essere un utile identificatore e predittore delle intenzioni suicide di cui i pazienti discutono con riluttanza, o delle intenzioni di cui essi non hanno nemmeno consapevolezza.


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